Benvenuti a Venezia?

È la rendita immobiliare che ha contribuito pesantemente, e non da adesso, a spopolare Venezia, città unica al mondo. Ogni “buco” disponibile affittato a studenti e turisti. “Nei primi anni Novanta, quando è iniziato il turismo globale – ha dichiarato Andrea Segre al Venerdì di Repubblica – Venezia diventa sempre più faticosa. Con la pandemia si è svuotata: il turismo ha creato economia, ma è molto difficile comprare o affittare. Se si vuole che le persone restino a viverci, bisogna offrire alternative concrete”.

È da queste riflessioni che il regista nativo di Dolo (“Io sono Lì”, “L’ordine delle cose”, “La prima neve” girato in Trentino e diversi documentari tra cui “Molecole” e “Il pianeta in mare” su Marghera) ha preso spunto per realizzare “Welcome Venice” presentato nelle scorse settimane alle “Notti veneziane” delle Giornate degli autori, sezione parallela della Mostra internazionale d’arte cinematografica svoltasi agli inizi di settembre al Lido.

Ambientato in gran parte alla Giudecca, l’isola che si affaccia sull’omonimo Canale attraversato per anni dalle grandi navi, un vero e proprio scempio, che adesso il governo centrale ha deciso di far arrivare a Marghera, “Welcome Venice” rende con un’immagine concreta, quella di una famiglia divisa, la situazione, il processo di trasformazione di una città che vive sull’acqua, fragile e in continuo mutamento. “Pietro e Alvise sono gli eredi di una famiglia di pescatori. Si scontrano – è riportato nel catalogo delle Giornate degli autori – nella trasformazione inarrestabile che sta cambiando la vita e l’identità di Venezia e della sua gente. Pietro, nonostante fatiche e solitudini, vorrebbe continuare a pescare moeche, i granchi tipici della Laguna; Alvise, invece, vede nella loro casa alla Giudecca lo strumento ideale per ripartire tentando di entrare nell’élite del potere immobiliare che governa la città”. Una storia minima, familiare (con finale a sorpresa, di grande effetto), specchio di una realtà più ampia, che coinvolge Venezia tutta.

Un gruppo di attori affiatato fornisce spessore al racconto. Tra questi, Paolo Pierobon (“Qui rido io”, “La pelle dell’orso”, “Il capitale umano” alcune delle sue partecipazioni), Andrea Pennacchi (già con Segre in un paio di film, ma anche ne “L’incredibile storia dell’isola delle rose” e “La giusta distanza”), Ottavia Piccolo, origini bolzanine, da molti anni vive al Lido, Roberto Citran (nella sua lunga carriera anche una parte in “Diva” di Costanza Quatriglio girato nei mesi scorsi pure a Trento). Squarci delle barene della Laguna dove vengono pescate le moeche; scorci di struggente bellezza degli interstizi della Giudecca.

Un colpo al cuore, che arriva dritto, da una città che in tanti hanno dato per morente ma che, in fondo, chissà per quale arcano, è sempre lì, in movimento, sulle onde di marea, tra mare e laguna. Una sensazione, una percezione che lo storico Mario Isnenghi, veneziano doc, è stato capace di trasmettere come pochi nel suo magmatico e straordinario “Se Venezia vive. Una storia senza memoria”.

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