Canto funebre

Francesco Munzi, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per Saimir (2004) e Il resto della notte (2008), ora con il suo ultimo film Anime Nere presentato a Venezia 71, ha ottenuto un grosso successo di critica e di pubblico.

Anime nere è un film di genere, un cupo noir ambientato in Calabria precisamente ad Africo, il centro nevralgico dell’‘ndrangheta, un luogo lontano, dimenticato, diroccato che proprio per questo crea un’ambientazione suggestiva e affascinante, anche se difficile.

E forse il cinema italiano può ripartire proprio da lì.

Il regista racconta che, arrivato in Calabria carico di pregiudizi e paure, ha scoperto una realtà molto complessa e variegata e così ha mescolato agli attori veri la gente del posto, che vinte le prime diffidenze si è aperta. «Senza queste persone, senza i loro volti, Anime nere sarebbe stato un altro film – dice Munzi – sarebbe stato un film più povero., perché Africo ha avuto una storia di criminalità molto dura, d’altra parte ci può far capire molte cose dell’Italia».

Il film è una sorta di western in cui prevale la legge del sangue e il sentimento di vendetta; la storia esplode per una bravata.

Ci sono tre fratelli figli di pastori calabri, uniti da un sentimento di vendetta e di ingiustizia perché il loro padre è stato assassinato.

Luigi, il più giovane, interpretato da Marco Leonardi, è un commerciante di droga internazionale, Rocco (Peppino Mazzotta) è un milanese e si nasconde dietro la facciata borghese della grande città, in realtà ricicla i soldi del fratello; Luciano (Fabrizio Ferracane), il terzo e il maggiore è rimasto in paese a fare il pastore, come il padre, convinto di ritornare alle origini di una Calabria innocente.

Leo, il figlio di Luciano, è la scheggia impazzita senza identità, senza valori, non percorre la strada del padre, ma ammira gli zii che hanno fatto carriera all’estero. Sarà proprio lui a scatenare la guerra.

Un giorno, infatti, Leo spara contro la vetrina di un commerciante di una famiglia mafiosa rivale.

In Calabria questa bravata, segna l’inizio della guerra e della tragedia.

Munzi gira in un paese fantasma con case che sembrano morte, disabitate, chiuse, distrutte, e si aggira tra i volti scavati dei personaggi, che sono segnati dall’ambiente desolato, aspro e selvaggio. Tra queste montagne, tra capre sgozzate, banchetti e funerali, in questi luoghi e atmosfere che si caricano di morte si consuma la tragedia dei tre fratelli come in un vero dramma greco.

La partitura è proprio quella della tragedia classica, dal dramma ancestrale, dal destino non si sfugge. Cosicché in un crescendo drammaticamente sempre più scabro e tagliente si arriva al concludersi della tragedia in cui non c’è scampo per nessuno.

Bravi gli attori professionisti, solenne la regia: quasi un canto funebre.

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