Che ci diresti oggi, Michele?

E ritornano con il loro carico di dolce nostalgia questi primi giorni di maggio, caro amico Michele, in cui una valanga ha fermato sul Cevedale i tuoi passi su questa terra. Ci segui dal Cielo col tuo sguardo d’amico, come ti ritrae nella foto scelta per il giornale dalla tua famiglia Niccolini, sette anni dopo, sotto le parole del salmista che sembrano davvero tue: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”.

Ma che ci diresti in questa lunga primavera di guerra che semina lutti e rancori, armando gli eserciti e dividendo perfino i fratelli nella fede in Cristo?

Forse allargheresti solo le braccia, Michele, restando in quel tuo silenzio contemplativo che spesso preferivi alle parole vuote. E poi ti saresti già dato da fare per rilanciare l’invito alla preghiera del tuo amico vescovo Lauro, di cui sei stato anche scrupoloso segretario. Ma anche per raccogliere fondi o ospitare qualche rifugiato.

Come uscirne, altrimenti, Michele da questa tragedia, che è esplosa proprio quando sembrava spegnersi la violenza contagiosa del Covid?  Mi immagino che ne starai parlando col tuo amico di gioventù, Piergiorgio Cattani, che ti ha raggiunto improvvisamente un anno e mezzo fa, ingaggiando dialoghi vivaci, appoggiandovi al pensiero dei vostri maestri filosofi e teologi, ma anche alle massime evangeliche.  E ti piacerebbe parlarne con un altro tuo amico, frà Francesco, che proprio l’altro ieri è stato riconfermato per tre anni dal papa come Custode di Terra Santa: lui che è un esperto di conflitti – ci vive in mezzo –  ma anche uno strenuo tessitore di pace, sull’esempio di San Francesco che era anche il tuo modello di cristiano, vero Michele?

Come facevi quando impaginavi “Squilla serafica” o quando facevi la rassegna stampa ai microfoni della nostra radio diocesana, ci richiameresti soprattutto all’impegno, a “fare la nostra parte”, a rendere concreta la speranza. A non rassegnarci, a non disperare.

Quella tua sapienza apparentemente distaccata ci ha segnato in tanti anni di lavoro insieme, quella tua fede semplice ci appare sempre più essenziale, cristallina come certi fiori di ghiaccio. E ci solleva anche il ricordo di quella tua imprevedibile ironia, quella battutina che ci aiutava a non prenderci mai troppo sul serio o crederci arrivati.

Sono anche i giorni del Festival della montagna, quelli attorno al 2 maggio. Verresti a vedere qualche film, li commenteresti con la tua amata sorella Patrizia, che in questi sette anni ha riversato nel suo giornalismo appassionato e competente le vostre doti di profondità e di completezza. Avresti apprezzato il libro biografico di Maurizio Gentilini su Armando Aste (“Ho scalato un ideale”, edito da Vita Trentina)  premiato ieri a palazzo Geremia dal premio Itas, cogliendovi soprattutto i valori dell’amicizia e della famiglia, che tu hai vissuto dentro l’affetto e l’affabilità di tua mamma Lucilla e papà Adriano: a loro, anche oggi, ci stringiamo con riconoscenza. E ci racconteresti certamente Michele i tuoi progetti di ascensione per la prossima stagione con la SAT o una bozza di programma per le gite mensile di “Montagna Giovani”, l’iniziativa di cui eri stato ideatore sull’esempio di Piergiorgio Frassati.
Soprattutto, Michele, “uomo della Pasqua” come ti disse il vescovo Lauro al funerale, ci inviteresti a “non avere paura”, richiamandoci all’assicurazione pasquale della Pace del Signore che sarà sempre con noi. E non è poco, è tutto.

 

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