Che terreno siamo noi?

I lettura: Isaia 55, 10-11;

II lettura: Romani 8,18-23;

Vangelo: Matteo 13,1-9

Duemila anni fa non c’era la carta stampata. Si scriveva su fogli di papiro o sulla pelle conciata delle pecore (la pergamena) – e siccome sia il papiro che la pergamena costavano parecchio, quando era necessario scrivere, ci si limitava al minimo essenziale, per non sprecare materiale inutilmente. Duemila anni fa non c’erano nemmeno la posta elettronica, i cellulari, le radio, le televisioni: tutti marchingegni che in un battibaleno informano su quello che accade dall’altra parte del mondo. No, niente di tutto questo c’era 2000 anni fa. Eppure, alcune parole dette in un oscuro paese ai margini dell’impero romano si sono subito diffuse, hanno fermentato la storia e le situazioni di tutti i popoli: ne son venuti fuori risultati di fede, opere di carità, di cultura, di arte… Erano parole di Dio. Quelli che le dicevano (gli apostoli, Gesù soprattutto) non erano personaggi conosciuti o accreditati come filosofi o sapienti: erano parole dette con semplicità, a volte la sintassi lasciava perfino a desiderare. Eppure hanno fecondato, trasformato la storia del mondo, perché dietro a quei suoni, a quelle voci, c’era la Parola di Dio. Certo, ci sono state anche brutture e cose sconvenienti in questi 2000 anni – e proprio all’interno di quei popoli che si dichiaravano cristiani – ma questo, se dispiace da un lato, dall’altro non può meravigliare più di tanto: dipende da dove cade il seme buono e potente della Parola di Dio. Se cade lungo la strada, su un terreno sassoso, oppure tra i rovi, è ovvio che non può portare frutto (le ortiche e le erbacce sì, invece: quelle crescono dappertutto). Non meravigliamoci troppo se il terreno dell’umanità – e della Chiesa – è fatto anche di strada battuta, di pietraie e di rovi. E neppure scandalizziamoci se anche oggi è così, e così sarà anche domani… Gesù Cristo, bravo inventore di parabole, si meraviglia che in questo terreno così variegato, qua e là ci sia anche terra buona, e quando vi cade il seme della Parola di Dio, il frutto non è solo abbondante, è addirittura eccezionale oltre ogni immaginazione. “…Diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Qui siamo infinitamente aldilà di ogni previsione, perché un grano di frumento – in Palestina a quel tempo – nel migliore dei casi produceva una spiga di 10 o 12 chicchi. Qui si sconfina a 30, 60, addirittura a 100 per spiga. Ecco ciò che suscita la meraviglia di Gesù: una meraviglia gioiosa, fiduciosa, addirittura entusiasta. È come se dicesse: sarà pur vero che tanta gente non ascolta, oppure ascolta e non fa… ma è anche vero che c’è gente che ascolta e – se pure poca, sparpagliata e di poco conto agli occhi del mondo – dà modo a Dio di fare grandi cose, cambiando la faccia della terra e il volto della storia.

No, non siamo noi cristiani a cambiare il mondo, è la Parola di Dio che tramite noi cambia la faccia della terra. Perché è potente, dinamica, feconda. Con questa parabola Gesù ci autorizza alla speranza, alla fiducia. Sì, proprio in riferimento alle nostre situazioni di vita, a quelle degli altri, e all’andazzo della società e del mondo in cui viviamo: prendiamo pure atto delle cose storte, non facciamo finta che non ci siano, ma ricordiamoci che se vediamo soltanto o soprattutto quelle, il nostro sguardo è strabico. Noi cristiani siamo abilitati a scorgere anzitutto i risultati della Parola di Dio, che cresce ovunque trova un po’ di terreno buono: sarà poco forse, limitato, ma la potenza del vangelo produce un frutto sovrabbondante in ogni caso, e tale da compensare la scarsità del terreno. È a questo sguardo fiducioso che vuole ridestarci il Signore con la sua bella parabola del seminatore. Poi, oltre che un invito alla fiducia, è ovvio: contiene anche una provocazione. Che terreno siamo noi abitualmente di fronte alla Parola del Signore? Strada battuta… pietraia… rovi… o terra buona? Probabilmente ognuno di noi è un po’ di tutto, ma non pensate che, via via che andiamo avanti, dovremmo sistemare al meglio il terreno e riservare terra buona sempre più spaziosa alle parole del Signore? A quale altro seme la riserviamo altrimenti? La verifica è nella vita di ogni giorno che va fatta. E con un criterio molto semplice in definitiva: nelle situazioni dell’esistenza quotidiana ci viene mai in mente il vangelo di Gesù, qualche frase, qualche espressione? Buon segno se è così: vuol dire che il seme è caduto anche su terra buona. Se invece non ci venisse mai in mente, dovremmo quantomeno darci una mossa. Se non altro per la soddisfazione di vedere quel seme del vangelo fruttare in grande sovrabbondanza: al 30, al 60, o addirittura al 100 per uno. E proprio nella nostra vita.

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