C’mon c’mon, quel filo di speranza che passa dai bambini

C’ è un film americano in sala in questi giorni dal titolo intraducibile, C’mon c’mon, che dovrebbe stare per un quotidiano ‘dai, vieni, forza’ o qualcosa del genere. Come il titolo preannuncia, il film non racconta una storia vera e propria ma insegue uno zio e il suo nipotino di 9 anni in giro per gli States, da Detroit a Los Angeles, da Los Angeles a New York, da New York a New Orleans, dove il lavoro porta lo zio che è un giornalista radiofonico impegnato a raccogliere ciò che i ragazzi pensano, sperano o temono del futuro. Nel frattempo lo zio costruisce un rapporto con questo nipotino che è figlio di sua sorella e di un musicista con gravi problemi psichiatrici, e attraverso questa cura ricuce, telefonicamente, anche il rapporto problematico con la sorella che si era interrotto, in particolare, alla morte della madre.

È un film che richiama in qualche modo la relazione tra adulto e bambino al centro di Nowhere Special di Uberto Pasolini (cfr. Vita Trentina n. 11/2022), ma al tempo stesso si pone ad una distanza siderale rispetto ad esso. Perché al posto della semplicità e dell’autenticità che caratterizzava il film italo-britannico, troviamo artificio, ripiegamento su di sé, auto-compiacimento artistico: dal bianco/nero “metropolitano” eletto dal regista, all’interpretazione di Joaquin Phoenix, alla claustrofobia delle camere d’albergo, al diario serale registrato dal protagonista sulla relazione con il bambino.

Troviamo un disagio umano che il piccolo Jesse ha in parte ereditato dagli adulti e in parte gioca ad amplificare, come fanno i bambini disturbati che in più hanno la sventura di avere intorno adulti che stanno al loro gioco e, pensando di curarlo, lo potenziano ulteriormente. Per questa via, il film diventa una sorta di fotografia non voluta della nevrosi e dell’insussistenza che caratterizza la cultura occidentale in questo primo quarto di millennio. Una camera con vista sul vicolo cieco in cui ci hanno condotto decenni di individualismo esasperato, di narcisismo e di inflazione psichica. Come meravigliarsi se ora, nella realtà, ci troviamo sull’orlo di un baratro mondiale, di cui saranno vittima in primo luogo bambini e ragazzi? E come uscire dal tunnel in cui siamo finiti?

La risposta non può venire dal film di Mike Mills, ma possiamo raccogliere la provocazione che esso suscita. Quale salvezza per l’uomo occidentale in questa Pasqua 2022? ‘Se non ritornerete come bambini’, ammonisce il Vangelo… bambini veri, non replicanti malati di adulti malati. C’è un lavoro enorme da fare per recuperare la semplicità originale dei bambini, quella che sa riconoscere intuitivamente genitori affidabili che vogliono il bene dei figli e non il proprio, come sapeva fare il piccolo Michael in Nowhere Special. C’è bisogno di un accudimento che restituisca ai più giovani la capacità di vedere oltre il male che segna inevitabilmente la realtà, tutta la bellezza e le potenzialità che si nascondono in essa. Che faccia rinascere speranza e fiducia. Ma per questo si deve passare per un riconoscimento sincero dell’ombra di morte che alberga dentro ciascuno, e una sua presa in carico attiva. Dobbiamo morire a un sacco di cose in questa Settimana di passione e sceglierne altre dal grande sacco degli scarti. Ma dobbiamo fare in fretta perché resta pochissimo tempo. C’mon c’mon!

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