Con audacia

1Re17,10-16;

Sal 145 (146);

Eb 9,24-28;

Mc 12,38-44

Quasi alla fine dell’anno liturgico, la liturgia della Parola di questa domenica ci spiazza lasciandoci con il fiato sospeso come se ci invitasse tutti a ripartire, a ritornare alla freschezza di quella lieta notizia che inquieta e che ci spinge a una responsabilità a tutto tondo. Siamo chiamati ad andare con Gesù nel cortile del Tempio e a osservare una donna vedova e povera. L’attenzione si deve concentrare su unico gesto che sa di grande audacia e che profuma di vangelo fragrante. Prima di narrare la passione, morte e risurrezione di Gesù, l’evangelista Marco pone sulla cattedra una povera donna che diviene ultimo annuncio del cuore del vangelo. Ed è davvero curioso che questa lieta notizia così sferzante è offerta nel silenzio e nella segretezza. Siamo di fronte al miracolo compiuto del Vangelo. Come gli altri personaggi femminili del vangelo secondo Marco, ricordiamo per esempio l’emorroissa o la madre siro–fenicia, anche questa «povera vedova», anonima e descritta in pochi versetti, diviene esemplare e icona non solo del discepolo autentico di Gesù, ma anche di ogni comunità cristiana desiderosa di lasciarsi plasmare dalla genuinità del Vangelo.

La posizione di questo breve brano all’interno del vangelo secondo Marco ci fa intuire che Gesù desidera donarci un ultimo insegnamento di grande importanza per entrare in profondità nella sua e nostra vita. Con la sua involontaria esemplarità una povera vedova porta a termine un capitolo nel quale tutti i rappresentanti del “potere religioso” di Israele erano stati messi a tacere da quel Maestro che parlava e agiva con autorità. Ora, proprio quest’ultimi che avrebbero preteso di insegnarle o di darle qualcosa, devono, invece, ricevere da questa insolita maestra una lezione sferzante e molto dura. Con la profondità e la verità di se stessa questa povera vedova insegna a riconoscere l’essenziale, a riconoscersi bisognosi e ad affidarsi totalmente a Dio. Lei silenziosa, che non fa cantare l’offerta nel tesoro del tempio, si trova a sua insaputa maestra di vita sapiente e prima discepola beata del regno di Dio. Di fronte a questa pagina di vangelo non ci sentiamo tutti messi con le spalle al muro? La posta in gioco è alta e Gesù, come sempre ci sorprende. Chi mai darebbe voce alla debolezza? Chi penserebbe di trarre insegnamento dalla fragilità? Non è forse questo un pensiero controcorrente capace di destabilizzare le nostre vite e le nostre comunità cristiane? La forza della «debolezza evangelica» propone prospettive nuove di sguardi e scopre il valore autentico della nostra relazione con Dio e con quanti ci sono accanto. Occorre, una buona volta, prendere sul serio questa parola evangelica.

Lo sguardo di Gesù si posa, dapprima, sulle autorità religiose che usano della loro posizione per opprimere chi non si sa difendere. Con una descrizione scarna ma quanto mai precisa, Gesù tratteggia gli atteggiamenti di colui che ostenta la sua religione. Ci viene presentato uno scriba che sembra non molto interessato a quello che fa. Le sue azioni e i suoi gesti esprimono un cuore non appassionato, ma semplicemente preoccupato di guadagnare un riconoscimento dall’esterno. La sua unica passione è confermare un proprio ruolo sociale riconosciuto. Non vi è alcuna premura di curare la propria interiorità, ciò che conta sta fuori. Pur ottemperando tutte le prescrizioni della Legge, il suo cuore è lontano dal Signore e incapace di ascoltarlo. Tutta la sua persona e identità dipende dal giudizio degli altri. La sua vita è così lontana dall’unico Signore da non ricordare affatto il cuore delle dieci parole di vita che abbiamo ascoltato domenica scorsa: «Amerai il Signore tuo Dio e il prossimo tuo come stesso». Questi scribi sono così ripiegati su di sé da «divorare le case delle vedove» trangugiando anche la propria identità e felicità. Coloro che dovevano ascoltare il grido dei più poveri sono solo in grado di ubbidire alle proprie esigenze zittendo la voce di Dio che parla attraverso i poveri. Non è forse giunto il momento di riflettere seriamente su questo annuncio evangelico dentro le nostre famiglie e le nostre comunità cristiane? Senza la paura di ritrovarci al punto di partenza, ma con il desiderio di lasciarci sorprendere dal Vangelo per rimettersi in cammino dietro a Gesù con audacia e con responsabilità civile. Con gesti chiari e inequivocabili come questa povera vedova che ha saputo parlare solo il linguaggio del dono totale anticipando così il gesto di Gesù. Se non ci fosse stato lo sguardo di Gesù, nessuno si sarebbe accorto di questa povera vedova e già questo diventa per noi un monito: su chi volgiamo il nostro sguardo? Da chi traiamo insegnamento di vita? Gesù rimane sconcertato da questa donna, dal suo modo di fare: «tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Come direbbe il testo greco, questa vedova povera vi getta «l’intera sua vita», rimettendo nelle mani di Dio tutta la sua persona e il suo futuro. Rimaniamo in silenzio orante di fronte a questa gigante della fede e dell’amore che sa rinunciare anche a ciò che è necessario. Durante questa settimana preghiamo con fede: «O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio degli stranieri, giustizia degli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi e tutti impariamo a donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso. Per Cristo nostro Signore.»

A cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina