“Convertitevi!”

Is 11,1-10;

Sal 71/72;

Rm 15,4-9;

Mt 3,1-12

Nessun uomo è un’isola. Frase logorata dall’uso, quasi non ci dice più niente. Eppure in questa seconda tappa mentre il Signore si sta avvicinando, la parola ci ricorda che per muovere passi certi di fede abbiamo bisogno della testimonianza di qualcuno che,anche se emerge da millenni passati,sia in grado di orientare i nostri passi, legandosi a noi come in cordata nel cammino spesso accidentato dei nostri giorni.

Due compagni di viaggio ci mette accanto il Signore, sono due profeti, Isaia e Giovanni Battista, che hanno aperto gli occhi lasciandosi folgorare da bagliori di divino, si sono messi in ascolto, tuffandosi nel pensiero di Dio, permettendo ai suoi progetti di salvezza di rivestirsi di parole umane, ascoltate e capite da tutti.

Giovanni va nel deserto, ha bisogno di ritrovare se stesso nel silenzio, persino nell’asprezza del luogo, che gli richiama l’essenzialità della vita e di ciò che davvero conta. Nella solitudine, nella desolazione e nei pericoli incontra Chi lo salva, gli consegna certezze e può riempire la bisaccia vuota del suo cuore.

Lì si scopre profeta, persona abitata da Dio, trasparenza di Dio, da lì, dal suo deserto ormai trasformato in un’oasi di grazia, in un nuovo Eden, diventa faro luminoso, polo di attrazione capace di calamitare le folle. La sua parola è sferzante, non fa sconti a nessuno ed esige un cambiamento.

Giovanni oggi ci grida dietro, perché noi vorremmo evitare uno così, sfuggirgli, non sentirlo, e ci esorta a conversione.

Conversione, parola forte per tempi forti, suono divino portato dal vento dello Spirito in quel cantiere di emozioni che è il nostro cuore.

Termine inflazionato da tante prediche? Forse sì, la nostra indifferenza e indolenza ne sono la prova.

Espressione troppo invasiva per essere recepita? Certamente. C’è qualcosa di apparentemente inaccettabile in ogni proposta di conversione. Nelle zone d’ombra del nostro cuore è sempre in agguato lo spettro del fariseo che ci fa spacciare per verità assolute le nostre meschinità, che ci porta a credere di essere “figli di Abramo”, privilegiati, santi anzitempo e che tende a farci dimenticare che siamo come pietre appesantite dall’egoismo e dall’orgoglio.

Se lasciamo che questo invito abbia il suo effetto dobbiamo arrenderci, cedere e cambiare. Pensieri destabilizzanti e strade mai battute può suscitare in noi il grido di Giovanni.

Lasciamoci prendere dalla nostalgia struggente di quel “battesimo in Spirito Santo e fuoco” preannunciato dal profeta, riscopriamo la bellezza della nostra identità di persone rinate a vita nuova mediante il battesimo: è da questa fonte inesauribile che attingiamo quelle energie di grazia capaci di suscitare in noi il cambiamento.

Cambiare… ma chi ci può cambiare? Giovanni profetizza di Lui: “Verrà dopo di me uno più forte di me”. Si tratta del Signore che aspettiamo, perché solo “Lui ci accoglie”, come ci ricorda san Paolo, “per la gloria di Dio”.

Viene per donarci un abito nuovo, per dirci che la storia più bella su di noi è ancora tutta da scrivere, per assicurarci che quel marasma di vecchiume che siamo può essere riciclato dal suo Spirito, riplasmato da mani divine che raddrizzano e danno forma in un turbinio di scintille di santità.

Convertirsi… ma a cosa? Isaia, il secondo araldo che incontriamo in questa domenica di Avvento, secoli prima della venuta del Messia annunciava: “un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, sarà l’inizio di tempi nuovi, di un’umanità finalmente riscattata dalla sua colpa d’origine: il Virgulto di Iesse farà nuove tutte le cose.

Convertirsi significa credere che la nascita di Gesù dà inizio alla redenzione, che la salvezza si celebra a Natale e ognuno di noi sa bene cosa va riscattato, purificato e salvato nella propria vita.

In particolare, un’immagine paradisiaca ci fa quasi sussultare di gioia, laddove il profeta con una pennellata di poesia proclama: “Il lupo dimorerà con l’agnello… Il bambino metterà la mano nel covo del serpente…”.

È un mondo capovolto e finalmente armonizzato quello che inaugura il Signore nel suo Natale, dove il piccolo fa pace con il grande, chi è fragile non soccombe schiacciato dal potente di turno, il rancore cede il passo al perdono, l’odio all’amore. Questo nuovo mondo nasce e cresce in ciascuno di noi, perché Dio si fa vicino, mette su casa in noi, diventa il nostro navigatore interiore e ci fa ritrovare strade perdute.

Convertirsi… che opportunità! Intrecciare quel poco che siamo con quel tutto che è Dio: è questo in fondo il regalo di Natale che tutti sogniamo.

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