Custodi del sogno di Dio

Gen 2,18-24;

Salmo 127 (128);

Eb 2,9-11;

Mc 10,2-16]

Ormai siamo rientrati tutti dalle vacanze e mentre si ricomincia la scuola o un altro anno lavorativo, la liturgia della Parola della domenica ci accompagna pian piano alla fine dell’anno liturgico, che si concluderà con la solennità di Cristo Re. L’Avvento poi ci porterà a festeggiare Gesù come il re dei re con l’oro, l’incenso e la mirra dei Magi, quello stesso Gesù che risponderà alla domanda di un Pilato, scettico e perplesso: «Tu lo dici, io sono re» (Gv 18,37). La regalità di Gesù comincerà a brillare dalla croce a Gerusalemme, ma molto prima può essere intravista tra le pieghe del racconto evangelico secondo Marco. Come, per esempio, ci suggeriscono i versetti introduttivi che avviano il brano evangelico di questa domenica: «Partito di là, Gesù venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano». Gesù orienta i propri passi verso Gerusalemme ponendo la nostra lieta notizia in un contesto pasquale. Oramai Gesù è decisamente indirizzato verso Gerusalemme per manifestare il senso pieno della sua regalità sul legno della croce e per insegnarci le esigenze del Vangelo. Il salmo 127, inoltre, mette a tema questa salita a Gerusalemme essendo uno dei salmi ascensionali che gli Ebrei cantavano durante il loro pellegrinaggio alla Città Santa: «Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie». Ci sorgono alcune domande: quali sono queste vie? Dove sono? Che cosa può significare per noi orientarci verso Gerusalemme insieme a Gesù? Il salmista ci rassicura: beato, e quindi felice, è quell’uomo che teme il Signore, cioè colui che ama il Signore e vive alla sua presenza sempre prendendo sul serio il suo amore sconfinato e le sue parole cariche di vita. Se ascoltiamo con attenzione, infatti, la parola evangelica di questa domenica ci accorgiamo che vuole rivelarci qualcosa che riguarda noi e Dio allo stesso tempo. Non si tratta semplicemente dell’indissolubilità del matrimonio, ma siamo invitati a comprendere che cosa significa per ciascuno di noi seguire Gesù rinnegando noi stessi e prendendo la croce. Che cosa significa, dunque, amare anche quando si attraversa l’esperienza della prova. Vediamo che i farisei concepiscono un Dio padrone che si relaziona all’uomo in base alla Legge data per mezzo di Mosè e dunque vogliono discutere di ciò che è lecito o meno. Secondo loro il documento di ripudio è lo strumento per il quale il divorzio può essere ottenuto dall’uomo che rifiuta la moglie. Questa legge espressa nel libro del Deuteronomio intendeva salvaguardare la donna per mezzo di tale documento, in modo che continuasse a venire rispettata anche se ripudiata. Gesù però non presta attenzione alla modalità del divorzio, ma va alla radice della questione: tale atto è solo una concessione e di fatto, come spiegherà in casa ai discepoli, non ha il potere di sciogliere alcunché. Gesù attinge tale insegnamento dalla Scrittura che, a differenza dei suoi interlocutori, non ascolta con cuore duro. Di questo, infatti, li rimprovera, fin dall’inizio della sua risposta: «Per la durezza del vostro cuore [Mosè

scrisse per voi questa norma» (v. 5). Come a dire: siete malati di sclerocardìa e invece di ascoltare la Scrittura per capire come Dio vi desidera, la scrutate per trovare quelle scappatoie permesse a motivo della vostra debolezza. Nasce la domanda: come Dio desidera che viviamo la nostra vita? Quale è il suo sogno su di noi? Ci risponde il Maestro: guardate non a Mosè, ma all’opera di Dio, che disse: «Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18). Vi è uno spostamento di prospettiva. Dio ha creato uomo e donna perché trovassero aiuto, conforto e corrispondenza e non perché sperimentassero una tale non-corrispondenza da auspicare un allontanamento o un rifiuto reciproco. Creando uomo e donna, Dio non solo ha fatto qualcosa di nuovo, ma ha anche preso da ciò che già c’era: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Di più: non solo ha fatto entrambi a sua immagine, ma ha fatto sì che vivessero la dinamica presente nella stessa Trinità, cioè la gioia dell’unità piena: «l’uomo … si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne». Solamente l’amore fedele, fecondo e accogliente di Dio può unire l’uomo e la donna e rendere possibile l’impossibile alle forze umane. La creazione rivela ciò che soltanto Dio può fare. È, senza dubbio, una parola radicale ed esigente da accogliere come farebbe un bambino: con pieno affidamento e con totale fiducia del cuore. Questo ci suggerisce Gesù con il suo gesto amorevole e benedicente verso i bambini. Accogliere l’altro, ogni giorno, nella sua debolezza e costruire comunione nella fragilità delle relazioni umane possono diventare esempi concreti del nostro camminare verso Gerusalemme, ossia del nostro abbracciare la croce che rende visibile un amore oltre misura. Noi tutti siamo quei bambini accolti da Gesù: deboli, fragili, incostanti, impotenti. E noi tutti siamo invitati ad accogliere i fratelli e le sorelle nella loro fragilità divenendo strumenti della stessa misericordia di Dio..

A cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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