Dalla compassione alla consolazione

Dalla compassione può iniziare un percorso di conversione. Gesù ha compassione, ma richiede conversione

In questi giorni d'estate sto leggendo un prezioso e denso libro che, con profondità e competenza, le varie sfaccettature di un sentimento fondamentale per la nostra vita: la compassione. L'autore, Antonio Prete, professore di letteratura comparata, riesce a compiere un cammino sicuro dentro il territorio vastissimo di quello stato d'animo che chiamiamo comunemente compassione, cioè la capacità di vedere il dolore altrui e di non rimanere indifferenti ad esso. Un cammino intrapreso insieme con poeti e artisti, da Dante a Leopardi passando per Baudelaire, Kafka e tantissimi altri, che viaggia tra il mito e la religione, tra la storia e la letteratura, tra il mondo antico e la contemporaneità.

La compassione confina con l'amore, ma è generata dal disagio e dalla tristezza motivati, a loro volta, dalla partecipazione alla sofferenza dell'altro, sia esso un uomo, un animale, oppure la stessa realtà che ci circonda con il suo carico di finitezza e di provvisorietà. Nei tragici greci compassione e spietatezza (ossia assenza di pietà) si possono trovare negli dei e negli eroi, in un quadro inesauribile e cangiante che apre squarci sull'essenza della natura umana. Il silenzio e il pianto accompagnano la compassione. Persino i guerrieri possono avere compassione per i propri nemici, per i nemici uccisi in battaglia, come narrato nell'ultimo libro dell'Iliade quando Achille si commuove davanti al re troiano Priamo giunto alla tenda dell'eroe acheo per poter avere di ritorno il cadavere del figlio Ettore.

Così Dante non riesce a reggere il racconto dell'amore di Paolo e Francesca, come testimonia l'altissima poesia del quinto canto dell'inferno: il sentimento della compassione è troppo forte nel poeta che dimentica completamente il peccato di lussuria dei due amanti, ritrovandosi sopraffatto dalle parole di Francesca ma soprattutto dalle lacrime di Paolo che continua a singhiozzare in penombra. Già, il pianto. Essere capaci di piangere, di sentire nelle viscere la compassione. Per i vivi e per i morti, come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua visita a Lampedusa.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare. La compassione però rischia di essere fine a se stessa, di fermarsi al desiderio di aiutare gli altri rimanendo invece nella propria posizione di distanza. La compassione può restringersi e diventare semplice disagio, irredimibile tristezza. Un ulteriore passo è dunque necessario. Dalla compassione può iniziare un percorso di conversione. Ci aiuta ancora la grande letteratura, in particolare I promessi sposi e l'episodio dell'Innominato. È il capo dei suoi sgherri, il Nibbio, il primo ad essere preso da compassione durante il rapimento di Lucia, un sentimento mai provato, ma in grado di sconvolgere anche il più reprobo e di travolgere le certezze nefande dell'Innominato che, in una notte di pianto e di disperazione, decide di cambiare vita.

Questo troviamo nei vangeli. Gesù ha compassione, ma richiede conversione. Meglio, chiama a modellare la propria vita a partire dallo sguardo amoroso e compassionevole, dall'azione risanatrice di cui si è stati oggetto. Occorre agire, avere lo stesso atteggiamento di pietà di Cristo, vedere, fermarsi, chinarsi, curare le ferite, ripagare i debiti come ha fatto il buon samaritano.

È necessario tuttavia un ulteriore passaggio: compassione, conversione, azione, consolazione. La compassione infatti, atteggiamento indispensabile per avvicinarsi al dolore dell'altro, resta però sempre velata di tristezza, conscia dello scacco a cui sempre andrà incontro: la sofferenza altrui – che in fondo rivela la nostra stessa condizione di precarietà – potrà essere accolta, compresa, condivisa, ma mai completamente superata. Ogni azione concreta, per quanto attenta e premurosa, si troverà di fronte a questa dura realtà. Il dolore resta.

Ecco dunque l'ultimo gradino, quello che ci conduce alla consolazione. Se consideriamo bene soltanto in Dio possiamo trovare una consolazione definitiva: è questa la sua promessa, la venuta dello Spirito Santo consolatore. Alla fine della Bibbia, nel libro dell'Apocalisse, la sintesi delle speranze profetiche che annunciano cieli nuovi e terra nuova si concretizza in quelle lacrime asciugate da Dio stesso. Il dolore non è cancellato con una bacchetta magica, il passato resta, ma tutto viene trasfigurato, redento, consolato. Nella nostra vita presente possiamo sperimentare la gioia della consolazione data e ricevuta, sapendo che qui questa gioia sarà sempre provvisoria ma che un giorno durerà sempre.

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