Dall’ostilità all’ospitalità

 At 2, 1-11;

Sal 103;

Rm 8, 8-17;

Gv 14, 15-16. 23-26.

Sono convinto che tutti i credenti sono soggetti attivi e corresponsabili nella vita della, chiesa e del mondo perché hanno ricevuto lo Spirito santoLe nostre parrocchie si impegnano a diventare luoghi di culture e di lingue differenti che sanno ascoltarsi?

In un tempo e in un luogo non precisati, all’improvviso, l’intera popolazione perde la vista per una epidemia che non ha spiegazioni. Le reazioni psicologiche sono devastanti: terrore, violenza gratuita, perdita di ogni pietà… Un poco alla volta tutti precipitano nella barbarie, scatenando un brutale istinto di sopravvivenza.

Ho voluto cominciare ricordando un romanzo in cui mi pare riflettersi bene la nostra situazione attuale. Sospetti, paure spesso immotivate, ricerca del capro espiatorio, odio latente, buio della ragione sono come l’aria che ci avvolge. E intorno tutti (o quasi) si dicono cristiani senza accorgesi che in realtà mercanteggiano la Parola di Dio o nemmeno la conoscono. Come l’autore del romanzo con cui ho iniziato questa riflessione possiamo concludere: «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.»

Ecco perché abbiamo bisogno che lo Spirito ci apra gli occhi, ci ricordi la verità di Gesù, che abbiamo dimenticato, ci ricordi il Vangelo da cui ci siamo allontanati. Gli Atti degli Apostoli raccontano che «apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro…» (At.2,3) E Gesù aveva detto: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra , e come vorrei che fosse già acceso.» (Lc 12,49)

E’ un fuoco che riscalda, che illumina; è un fuoco che incendia la nostra indifferenza alle povertà, ai problemi degli altri, ai diversamente abili e ai migranti. E’ un’indifferenza che esclude spesso ogni ospitalità, perché urla quel «prima noi, …», un prima che apre all’apartheid, che impedisce di leggere le condizioni del mondo, che ci spinge ad ammirare i nostri selfie. Prima i poveri, prima gli indifesi, prima i migranti, prima tutti quelli che fanno fatica a vivere. Non ha fatto così Gesù? Ecco dunque una importante parola del Vangelo che lo Spirito santo ci ricorda.

Lo Spirito ci indica la strada per passare dall’indifferenza alla passione per l’uomo nei suoi infiniti problemi, la passione per Dio, la passione per le grandi tensioni morali e ideali. Ci insegna l’amore del Signore che non si arrende mai, l’amore e non l’odio, perché nel cuore di chi ama, il Padre e il Figlio pongono la loro casa: «Se uno mi ama osserverà la mia parola… e noi verremmo a lui e prenderemo dimora presso di lui.» (Gv. 14,23) C’è un altro passaggio che lo Spirito ci invita a fare: «transitare dall’ostilità all’ospitalità».

Il nostro mondo occidentale è sempre più preda della paura per il diverso, per chi parla un’altra lingua, per chi ha un diverso colore della pelle. E c’è il rischio da non sottovalutare che la stessa religione cristiana diventi nemica delle altre religioni. La cultura europea si è proposta come centro, verso cui tutto doveva convergere, attorno a cui doveva ruotare il mondo. E ora nasce imperioso il bisogno di difendersi, di dividersi. Occorre davvero passare dall’ostilità all’ospitalità. La Pentecoste racconta di culture e di lingue differenti, che si ascoltavano e si capivano, pur restando diverse. «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? SIAMO Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia…» (At. 2,10) Lo Spirito santo «è una presenza attiva e potente, che si fa presente sempre nella misura in cui noi crediamo in lui e intelligentemente facciamo sì che il suo agire trovi spazio.» (Rudolf Pesch).

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