Deserto

Deserto è silenzio, solitudine, povertà, fame, sete, insolazione di giorno e freddo di notte

“Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase 40 giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano” dice laconicamente Marco, senza entrare come Matteo e Luca, nell'oggetto delle tentazioni.

Qual è il tuo deserto Gesù?

Lupi, sciacalli, serpenti, scorpioni, satana e angeli, pietre e sabbia – all'inizio della sua missione.

Deserto è silenzio, solitudine, povertà, fame, sete, insolazione di giorno e freddo di notte. Anche per Lui assenza di relazioni sociali, famiglia, lavoro – silenzio di annunzio – assenza della sua comunità di fede ebraica.

Deserto è soprattutto non possesso. Nessuno riesce a vendere deserto e nessuno compra ettari di deserto. A meno che non ci sia sotto il petrolio ma allora non è più deserto bensì pozzo.

Nessuno costruisce niente nel deserto a meno che non ci sia da erigere un muro per spinger via i Messicani.

Il deserto ti nega ogni possesso perfino ti svuota il tempo da ogni valore. Il deserto non ha percorsi se non per qualche carovana di mercanti e non spreca incontri. Non offre obiettivi se non quello di uscire da lui. Non ha vie di uscita se non quella di imbattersi in un cammelliere che ti porta fuori, come è capitato a Saint Exsupery l'aviatore del Piccolo Principe.

Il deserto non promette niente, non ha voce, non ha strade, fa più paura che promesse. "Subito Gesù fu spinto dallo Spirito nel deserto", volutamente. Dall'interno perché lo Spirito é tutt'uno con Gesù. E' l'insieme dei suoi desideri.

Gesù, dicono i Vangeli dell'Infanzia, si sviluppava fisicamente, aumentava in consapevolezza umana e spirituale, cresceva nell'intimità con il Padre. Al Giordano, dopo il battesimo di Giovanni, coglie la voce del Padre che lo dichiara Figlio unigenito, Verbo incarnato, depositario di ogni progetto di salvezza, Messia atteso da Israele per il mondo. In Gesù e in noi rimane la domanda: "Ma quale Messia? Salvatore come? Da una Reggia, da un Tempio? E perché lo Spirito spinge proprio nel deserto a trovare la risposta?".

Perché la risposta è ad una umanità povera e ai poveri dell'umanità. Solo il luogo più povero, come il deserto fatto di pietre, sabbia ed assenze è il luogo più capace di aiutare in una scelta tra l'uso elettorale di piacere, possesso e potere o quello della pura solidarietà, condivisione e parità. Gesù non compera e non si vende, si dona e propone di donarsi. Il deserto diventa la prova finestra dei valori secondo Dio/Amore. I 40 giorni diventeranno i 40 anni di vita di Gesù, mai più Imperatore, Sommo Sacerdote, Operatore Massimo nella stanza dei bottoni nucleare o finanziaria che sia.

Non ha dove posare il capo. Disprezzato in patria. Alla morte di Giovanni fugge. Si sente dire dai suoi famigliari: "Mostrati al mondo!". E' costretto a dire ai suoi discepoli vacillanti: "Volete andarvene anche voi?" Sceglie l'ultimo posto per sè e gli chiedono il primo posto per loro. Deve nascondere segni potenti per non essere confuso con un Messia a buon prezzo. Al momento buono fuggiranno. E il migliore confermerà ripetutamente: "Non lo conosco!" Il deserto, perfino interiore, si farà così assoluto da fargli gridare: "Padre, perché mi hai abbandonato?".

Per i 40 millenni dell'Umanità Gesù rimane una voce sommessamente profonda, umilmente incancellabile, gioiosamente impertinente che penetra in ogni bunker religioso, psicologico, sociale, scientifico,economico, culturale. Animali selvatici, questi, invitati a stare mitemente ma attivamente con Lui. E così il tempo cronologico diventa Kairòs, compimento, pienezza, ritrovamento. Il deserto fiorisce. Dal vuoto, dal tradimento, dall'infedeltà dell'amata, che siamo noi, al suo ritrovamento e all'unione sponsale definitiva.

Esiste un deserto anche per il Padre?

Lasciamo il quesito ai teologi e ai poeti, cioè a quelli che hanno competenze o percettività ben più alte delle nostre. Ma deve esser stato nel cuore del Padre qualcosa di simile ad Abramo disposto a sacrificare Isacco. All'inizio della vicenda il riso era stato affettuoso e promettente. Aveva consentito ad Abramo e Sara di ridere increduli e magari un po' compiaciuti. Ed invece il figlio della impossibile promessa è nato veramente. Isacco significa "Riso di Dio" e Isaac è onomatopeico, sembra proprio una risata cordiale e soddisfatta. Ma ora tutto sembra diventare beffardo e tragico. Far morire il figlio ma ancor prima negarsi e morire come Padre.

Qual è il mio deserto?

Da quel giorno lo Spirito ci ha preso gusto e continua a spedire noi poveri gesuani, cioè poveri cristi, nel deserto dell'infanzia, dell'adolescenza, della gioventù, dell'adultità, della maturità, dell'anzianità, della vecchiaia, dell'invalidità. La spinta può essere esteriore, perfino violenta, o interiore.

Secondo un racconto islamico il deserto è costruito da granellini di sabbia: uno per ogni peccato fatto dagli umani. Più semplicemente le pietre sterili o i granelli di sabbia del mio deserto sono dati da temperamento, clima familiare, isolamento fisico o economico, insufficienza culturale, mancanza di salute, sensi di inferiorità, invidie e disprezzi subiti, fallimenti, abbandoni, età.

Anche gli Apostoli hanno sperimentato e subito un cammino verso il deserto. Lasciate le reti da pescatori di pesci lo seguirono come pescatori di persone. Ma non basta. Ad un dato momento, lasciate le reti da pescatori di persone lo seguono al Calvario finché, con la fede nella sua Resurrezione, lo seguono al martirio. Sperimentarono tutti il senso di inutilità dovuto alla vecchiaia o alla malattia o, ancor prima, all'inadeguatezza ai compiti o alla violenza subita da parte di zelanti ricchi di maggior potere. Non hanno mai perso tempo, avendo bisogno di sostegno,"aspettando Godot", come dio del Nulla e hanno dato senso vitale anche al loro "deserto dei Tartari" proprio quando le luci notturne e le esplosioni preannunciavano il momento glorioso atteso da una vita. Sapevano il conforto che quando vieni rifiutato e invidiato su cosa buona, giusta e non tua è Lui che viene rifiutato o invidiato.

Nunc dimittis Domine servum tuum in pace. Insegnami a prender congedo progressivo dai tuoi doni, come una mamma prende progressivo congedo dalla sua creatura. Fuori dal grembo, via dal latte, basta con i baci, non più vacanze assieme, non più lo stesso tetto, senza più saper dare sostegno, avendo anzi bisogno di sostegno. Come gli atleti 35/40enni con lacrime di orgoglio, commozione, rimpianto baciano l'ultima coppa, vedono spegnersi le luci e il tifo dell'ultimo tempo, nell'ultima partita dell'ultimo campionato. Ed incomincia una vita più vera, più consapevole, più capace di dono.

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