Diamo ragione della speranza che è in noi

Il pericolo per il cristianesimo di oggi è la mancanza di fede quanto la diffusa ignoranza tra i credenti

Ho letto sul giornale le statistiche sulla partecipazione alla cosiddetta “ora di religione”. Nel corso del tempo la percentuale di chi non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica è aumentata, ma ancora la stragrande maggioranza degli studenti la frequenta. Soprattutto alle elementari e alle medie. Mi veniva allora una domanda: la religione in generale è vista come qualcosa di utile per l’infanzia? Perché poi inesorabilmente, arrivati a una certa età, i giovani si allontanano. Magari frequentano il catechismo per comunione e cresima, ma poi quasi inesorabilmente non sentono più un’appartenenza religiosa. Forse la comunità ecclesiale sbaglia approccio? Presentiamo la fede in maniera troppo infantile? Tu cosa ne pensi?

Grazie per l’attenzione,

Maria

Di solito, quando si parla dell’insegnamento della religione cattolica a scuola, si bada soprattutto alle statistiche. Come una sorta di audience televisiva, si guardano le percentuali rispetto agli anni precedenti, quasi che da ciò dipendesse l’effettiva validità di questa disciplina. I numeri sono certo importanti, segnano una tendenza, ma non dovrebbero essere il parametro essenziale. Ha ragione però Roberto Giuliani, responsabile diocesano dell’IRC, nel sottolineare il fatto che, se l’85% degli studenti si avvale di questo insegnamento, vuol dire che esso è percepito come utile, positivo e arricchente. Quindi, a livello generale, l’ora di religione non è vista come un momento di indottrinamento o peggio ancora di divertimento, ma invece come una possibilità in più data agli studenti per capire il mondo di oggi.

Ciò non significa che l’85% delle famiglie trentine sia cattolica. Sarebbe un errore gravissimo pensare così. E non implica neppure che l’IRC non possa essere un giorno sostituito da una materia obbligatoria e curriculare di scienze delle religioni, slegata da qualsiasi vincolo confessionale. Ma non è questo l’argomento principale della tua domanda.

La questione da te posta riguarda un problema molto evidente e dibattuto: perché dopo la cresima i ragazzi si allontanano dalla pratica religiosa? Perché le famiglie desiderano che i propri figli frequentino la Chiesa durante l’infanzia e l’adolescenza? Dobbiamo parlarci chiaro: molti genitori mandano i figli al catechismo per motivazioni varie, ma quasi sempre lontane da un desiderio religioso o spirituale. Per la maggior parte delle persone la Chiesa offre un “servizio” utile per maturare valori positivi, per raggiungere un buon grado di educazione… Se vanno all’oratorio, i nostri ragazzi non frequenteranno cattive compagnie… Poi le cerimonie per i sacramenti sono affascinanti; sono momenti di passaggio, di festa tradizionale, di regali e di consumo. Sicuramente c’è anche un vago retaggio della fede cristiana. Non fa male neanche questo, basta non contrastare i dogmi della mentalità contemporanea: la libertà individuale, la certezza di avere sempre ragione, l’impossibilità di rinunciare a qualcosa. Così, quando il cammino di fede si dovrebbe fare più impegnativo e consapevole, ecco che è molto più comodo allontanarsi.

La dimensione spirituale porta con sé dubbio e inquietudine. Fa scaturire domande: sulla morte, sulla vita, su Dio. Sul perché della sofferenza, sulla possibilità della redenzione. Domande che possono turbare i sogni, ma che sono inevitabili per diventare consci della nostra vocazione di uomini. A volte si presenta la fede cristiana in una maniera troppo zuccherosa e appunto infantile. Sembra quasi che non si voglia “far scappare” subito i ragazzi, non mettendoli immediatamente di fronte a quelle difficoltà che poi non potranno non trovare sulla loro strada. Si evitano le domande, si scansano gli ostacoli. Per vendere meglio il prodotto.

Non è tanto una questione di catechismi, di sussidi pedagogici, di ricette in campo educativo. Il materiale didattico non manca, gli uffici curiali offrono ogni sorta di spunti. La diocesi propone svariate iniziative anche di formazione permanente per giovani e adulti. Eppure dilagano ignoranza e confusione. Che fare? Non ci sono ricette semplici. La cultura generale aborrisce qualsiasi proposta che comporti fatica e rinuncia. Ritorniamo sempre all’esortazione contenuta nella prima lettera di Pietro, secondo cui bisogna essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15). Per dare ragione della speranza bisogna anche – forse soprattutto – aggiornarsi, studiare, sapere qualcosa. Il pericolo per il cristianesimo di oggi non mi sembra la mancanza di fede quanto la diffusa ignoranza tra i credenti. Un tempo questa situazione era forse tollerabile in quanto si era cristiani per tradizione, quasi automaticamente. Ma adesso possediamo tutti gli strumenti per arginare tale deriva. Dobbiamo insistere di più su questo punto anche se va controcorrente alla mentalità dominante.

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