Discepoli di un Dio capovolto

Sap2,12.17-20;

Sal53 (54);

Gc3,16-4,3;

Mc9, 30-37]

Invochiamo il dono dello Spirito d’intelligenza per ascoltare con mente e cuore la Parola che questa nostra domenica ci offre perché non ci troviamo ad essere come gli apostoli sbigottiti e impermeabili alla buona notizia che il Signore vuole comunicarci. Sì, gli apostoli odono Gesù annunciare per la seconda volta che “il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà” (9,31) e non osano chiedere spiegazioni. Perché? Forse per timore di ricevere la risposta data la volta precedente a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana. Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33)? O forse perché preferiscono nascondersi dietro alle proprie parole, anziché ascoltare quella di Gesù? D’altra parte la parola di Gesù è difficile da accogliere, perché parla anche di consegna e di uccisione. A cose fatte gli apostoli capiranno che è Dio stesso che consegna il Figlio dell’uomo all’uomo. Non che Dio voglia la morte del figlio, anche se sa che gli uomini, mossi dalle loro passioni, facilmente fanno liti e guerre (Gc 4,1). Tuttavia il Padre e il Figlio sono disposti a correre questo rischio, ribaltando la logica umana, cioè ricambiando bene per male: lo ascolteremo tra due domeniche quando terminata la lettura semicontinua dei cinque brani tratti dalla lettera di Giacomo, cominceremo a leggere la lettera agli Ebrei con cui termineremo il ciclo dell’anno B: “Per la grazia di Dio egli [Gesù

ha sofferto la morte a vantaggio di tutti” (Eb 2,9).

Questa è la logica del Dio-capovolto. Questa è la logica che ha commosso molti cuori da duemila anni a questa parte, tra i primi quello della donna peccatrice che bagna di lacrime i piedi di Gesù. È questa la logica che ancora oggi siamo chiamati ad annunciare, senza poterla argomentare, senza poterla capire fino in fondo; quello che il Signore ci chiede è di saperla accogliere, con quella fiducia di cui sono capaci i bambini, come quel piccolo che Gesù chiama a sé e abbraccia (Mc 9,36). Ma fiducia di chi? In che cosa? Che il nemico si converta, si penta e cessi dal compiere il male? Questa è una buona speranza e non di rado accade, come nel caso dell’assassino di don Pino Puglisi. È una speranza a caro prezzo. L’agire del fedele non è principalmente quello di chi vuole insegnare o convertire; correrebbe il rischio di attribuire a sé i propri successi, o di cercare gratificazioni; l’agire del credente è quello di chi, desidera convertirsi, cioè di chi per amore vuole seguire il Maestro, che ha parole di vita eterna (Gv 6,68). Il Maestro invita ciascuno di noi a prendere la propria croce e a seguirlo, come annunciava il Vangelo domenica scorsa (Mc 8,34). È proprio perché Gesù ha preso parte alle nostre debolezze (Eb 4,15), che possiamo accogliere con fiducia la sua Parola. È proprio perché il Padre lo ha risuscitato, come Gesù annuncia con fiducia in Mc 8,31, che possiamo non temere per la nostra vita, ma gettarci, anche a caro prezzo, tra le braccia del Signore della vita.

L’abbandono fiducioso alla Parola del Signore e l’impegno faticoso di seguire il Signore nella logica capovolta secondo cui è davvero grande solo chi si mette all’ultimo posto (Mc 8,35), sono gli atteggiamenti che guidano il cammino del cristiano: egli è colui che segue Gesù Cristo evitando di disperare davanti alla seduzione del male, di cedere alla tentazione di sollevare liti, di non voler conservare la propria vita a discapito di quella altrui. Sebbene la maggior parte di noi non voglia nuocere ad alcuno, tuttavia possiamo essere portatori “sani” di indifferenza: è un male subdolo, perché è facile non accorgersene e anche perché nasconde la verità sotto una coltre di parole ipocrite. Occorre dunque vigilare su ciò che si pensa e si dice. La prima lettura ci mette in guardia dall’uso ipocrita, cioè senza giudizio giusto, delle parole: quando le si usa per difendere gli interessi di una parte, sono portatrici di sofferenza, di male per tutti, compresi coloro che le usano male. Nella loro impudenza gli ipocriti osano quasi lanciare una maledizione a se stessi: “Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani degli avversari” (Sap 2,18), che sono proprio loro! Le parole invece portano il bene, se partono dall’interesse dell’altro, del più debole. E davvero grazie a Dio il Vangelo è fin dall’inizio stato annunciato ai piccoli. Il mettersi di Gesù all’ultimo posto, mostra quanto egli crede alla forza della verità, non per via dell’evidenza del ragionamento, né del potere dell’autorità (e chi più di Lui?), ma dell’amore mostrato con la propria vita fino alla morte e oltre. Questa è la strada di Gesù e non può non essere la nostra strada. Forse è una strada difficile, ma non triste. Se è triste vuol dire che ancora contiamo i passi, non ci fidiamo appieno, non desideriamo metterci all’ultimo posto (Mc 9,35). Per abbassarsi occorre quella fiducia che solamente può venire dall’ascolto della Parola, dalla pazienza di fidarsi anche quando si capisce poco, dalla confidenza di chiedere il dono dell’umiltà. Come dice san Giacomo parlando di quelle passioni che “fanno guerra nelle vostre membra” (4,1) e che non riusciamo a liberarcene perché non chiediamo o chiediamo male. Aiutiamoci gli uni gli altri a saper chiedere, a rivolgerci con preghiera fiduciosa al Padre, per esempio come il ritornello del salmo ci fa dire: “Sei tu, Signore, il mio sostegno”; o come recitiamo nel Padre nostro: “sia fatta la tua volontà” e “liberaci dal male”.

A cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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