Don Giorgio e gli ultimi che fanno la storia

Don Giorgio Cristofolini

Il 23 settembre 1993, esattamente trent’anni fa, si spegneva don Giorgio Cristofolini. Il giorno dopo veniva presentato a Bolzano il suo libro intervista “Un prete in miniera”. Lo aveva voluto dedicare “agli umili eroi di un’epopea”. L’epopea di cui era stato spettatore diretto – ma è più corretto dire che ne fu a suo modo un protagonista – era quella delle gallerie, delle dighe costruite per gli impianti idroelettrici, che ebbe inizio nelle vallate dell’Alto Adige e del Trentino negli anni precedenti all’ultima guerra. “Proseguì – raccontava – nel dopoguerra, con un fervore accanito che coinvolse, solo qui in Alto Adige, qualche decina di migliaia di uomini. Ingegneri, geometri, operai: rappresentavano, ognuno per la sua specializzazione, una razza umana che, per i valori di cui era portatrice, può considerarsi ormai in estinzione. Uomini generosi che sentivano fortissimo il senso della responsabilità e della solidarietà”.

Erano quelli che don Giorgio chiamava “uomini dalla valigia”. “Qui in Alto Adige, hanno trovato il pane per la famiglia, che viveva sotto altri cieli. Molti, troppi in galleria hanno lasciato la vita o la salute”. “Ormai è diventata un’ossessione”, confidava: “Quando accendo la luce, il mio pensiero corre ai tanti di cui ho composto le salme all’interno della galleria. È il prezzo che la povera gente ha pagato al progresso”. Perché “quando c’è da pagare, sono sempre i poveri in prima fila”. “Hanno pagato un duro prezzo anche gli abitanti di Curon”, aggiungeva don Giorgio in riferimento al paese scomparso per la creazione, a Resia in val Venosta, di un bacino per la produzione di energia idroelettrica. “Per la mentalità corrente parrebbe impossibile che si giunga a tanto. Un intero paese, con le sue case sostanziate di ricordi e di affetti, con i morti del cimitero, è stato invaso dalle acque di una diga. Lo esigeva il progresso”. “Il campanile che emerge dal lago di San Valentino è molto più di un ricordo del passato. A me piace vederlo come un simbolo del sacrificio sommo degli umili, dei quali la storia non si interessa. Eppure sono proprio loro, questa schiera di umili, che hanno scritto pagine splendide di Storia della civiltà e del progresso. Con umiltà e in silenzio”.

Il libro presentato a Bolzano il 24 settembre 1993 univa alle storie degli uomini delle gallerie quelle dei minatori di Monteneve. “Due mondi diversi, ma fatti della stessa pasta umana, permeati dal culto degli stessi valori. Devo molto a tutti loro”. “Sono i miei professori”, diceva don Giorgio. C’è qualcun altro che ha scritto pagine di storia con umiltà e nel silenzio. È lo stesso don Cristofolini. Fu uno stretto collaboratore del vescovo Joseph Gargitter. Il primo di lingua italiana, il secondo di lingua tedesca, impararono insieme a guardare (e capire) l’Alto Adige l’uno con gli occhi dell’altro. E quando Gargitter, negli anni del Concilio, fu chiamato all’impresa impossibile di aggregare il Sudtirolo in un’unica diocesi plurilingue, fu proprio don Giorgio, con le Acli e altre persone di buona volontà, a contribuire in modo decisivo a rendere possibile l’impossibile. Certo: intervennero poi Paolo VI e Aldo Moro a prendere le decisioni, ognuno nel suo ruolo.

Ma la cosa andò in porto e soprattutto ebbe uno sviluppo virtuoso negli anni successivi, grazie a persone come don Giorgio Cristofolini che, lontane da qualsiasi approccio nazionalistico o etnocentrico, posero le basi di una convivenza autentica ed efficace. Persone che per questo hanno vissuto, come spesso accade, anche l’esperienza dell’incomprensione e dell’isolamento. Sono rimaste in piedi, con dignità, perché avevano una visione. Non cercavano ruoli di potere, né si dannavano per conservarli, ma guardavano solamente al bene comune. Un genere di umanità che, direbbe don Giorgio, “per i valori di cui era portatrice, può considerarsi ormai in estinzione. Uomini generosi che sentivano fortissimo il senso della responsabilità e della solidarietà”. La loro eredità oggi si è persa? O è solo dimenticata, rimossa? È il destino “degli umili, dei quali la storia non si interessa”.

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