“Dov’è il tuo cuore?”

Dt 4,1-2.6-8; Sal 14(15); Gc1,17-18.21b-22.27; Mc7,1-8.14-15.21-23

La prima domenica di settembre ci consegna parole infuocate che inquietano e scandalizzano. «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» dice Gesù ai farisei e agli scribi venuti a Gerusalemme per interrogarlo, ma lo ripete anche a tutti noi che ascoltiamo oggi la sua Parola e che desideriamo vivere il Vangelo in autenticità. La libertà con cui Gesù pronuncia queste parole così limpide e sconvolgenti non può non mettere in discussione anche noi che, spesso colti dalla paura, preferiamo stare in uno spazio ben conosciuto piuttosto che su un terreno dall’ampio orizzonte. La posta in gioco è alta: che cosa significa vivere il Vangelo? Fin dove le nostre tradizioni valorizzano la parola di Dio e permettono di ascoltarla sempre più in profondità, sempre più fedelmente? Gesù sembra suggerire due modi di accostare la parola di Dio e il suo stesso messaggio: con la testa o con il cuore o si potrebbe dire, dall’esterno o dall’interno. Al tempo di Gesù prima di ogni pasto bisognava osservare un rituale complicato per lavare le mani ed essere puri e poter mangiare. In questo modo, la tavola, da luogo di condivisione, di prossimità e di alleanza, nel giudaismo era progressivamente diventata un luogo di divisione e di scomunica dell’altro: lo straniero pagano, per esempio o il peccatore non potevano prendervi parte insieme al pio giudeo. La fedeltà scrupolosa alle prescrizioni rituali dava la certezza ai farisei e agli scribi di essere in regola e che Dio sarebbe stato dalla loro parte. In principio, sicuramente, il rispetto delle leggi di purità aiutava il fedele cercatore di Dio a rimanere nell’alleanza con Dio e il lavarsi le mani era un mezzo per indicare una conversione interiore. Oramai, ben si comprende dalla risposta di Gesù, si seguivano le regole solo esteriormente avendo perso di vista il cammino interiore ed erigendosi a censori degli altri. Infatti, il comportamento di Gesù e dei suoi discepoli, che ben volentieri avevano a che fare con gente “non in regola”, era per farisei e scribi incomprensibile e intollerabile. L’attenzione era passata dall’interiorità all’esteriorità e quanto era soltanto un mezzo secondario divenne l’essenziale necessario e insostituibile. Gesù non fa tanti giri di parole, di fronte al rimprovero rivolto dai farisei ai suoi discepoli, risponde con vigore con la parola stessa di Dio contenuta nei profeti: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Is 29,13). Tale parola profetica smaschera gli accusatori di Gesù: al centro un culto esteriore privo di interiorità e di adesione radicale della persona. Gesù non vuole contraddire la Legge (Torah) né la tradizione, ma è preoccupato che l’ansia della regola faccia perdere il cuore pulsante della Parola stessa che sempre libera, dona vita e apre sentieri di comunione. Preoccupati di influenzare Dio, i farisei evitano di guardarsi dentro e di prendere in mano con piena responsabilità la loro relazione con Dio e con il prossimo. Solamente «la parola del Signore rimane in eterno» (Is 40,8; 1Pt 1,24), mentre la tradizione può evolversi con i mutamenti culturali e con le generazioni restando espressione umana e rivestimento della parola del Signore. Gesù annuncia una vita spirituale che ponga un giusto rapporto tra esteriorità e interiorità, evitando ogni eccesso e ogni irrigidimento insopportabile. Per questo, esige la responsabilità personale e ricorda con fermezza quanto sia fondamentale conoscere, educare e custodire la propria coscienza morale. Il pericolo più grande è il cuore indurito, «lontano da Dio» e per questo incapace di convertirsi alla Parola di vita. Tutta la tensione deve essere spostata dentro il centro di ogni persona dove nascono i pensieri, le decisioni, i sentimenti, i progetti e fioriscono le relazioni. Dentro, non fuori. Questo costa molta fatica poiché esige riflessione, valutazione, considerazione e non semplici regole. È molto più semplice adeguarsi a un rito di purità piuttosto che chiamare per nome un vizio del nostro cuore e estirparlo. Occorre ritrovare l’unità tra rito e vita, tra esteriorità e fede, tra mani e cuore. Non a caso il lungo elenco di «propositi malvagi» che troviamo nel vangelo secondo Marco riguardano le nostre relazioni con gli altri dal momento che il «comandamento di Dio» è uno solo: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv15,12.17). Di grande aiuto la lettera di Giacomo (seconda lettura): «religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo». Il cuore puro deve sempre incarnarsi in mani capaci di prendersi cura delle necessità dei poveri («orfani e vedove») perché la Parola pregata e celebrata possa essere vista, udita e resa prossima attraverso il nostro cuore, le nostre labbra, i nostri occhi e le nostre mani. Oggi, dov’è il mio cuore?.

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