E i discepoli diventano macchiette

C’è un abisso, a volte, tra il mostrare e il non mostrare (lasciando però spazio ad altro, all’intuizione di ciò che sta dietro, o di lato, o in profondità). “Segnalando” comunque una presenza. Il che, nel secondo caso, non significa certo nascondere, tutt’altro. Al cinema è questione di stile, di sensibilità, e quindi di sostanza, di quella di cui sono fatti i fantasmi che passano sullo schermo. E pare tanto più verosimile questa differenza tra un verbo e la sua negazione quando la narrazione mitologica investe il mistero, la ricerca, il dubbio, la fede. Ed è il solco, profondo, che passa tra L’inchiesta di Damiano Damiani, del 1986, onorevole e solido “artigiano” del cinema, in questo caso ispirato da Suso Cecchi D’Amico ed Ennio Flaiano, mica due nomi qualunque, e Risorto, che ne sarebbe il remake, dell’americano Kevin Reynolds (Fandango, Rapa Nui, Waterworld) con Joseph Fiennes (Shakespeare in Love), Peter Firth (Pearl Harbor, Amistad) e Tom Felton (Harry Potter) in questi giorni nelle sale.

Nella Galilea soggetta ai Romani Gesù viene crocifisso ma risorge. Per gli occupanti è un caso politico perché quel “capopopolo” potrebbe diventare il collante e l’ispiratore della rivolta di Gerusalemme. Il tribuno Clavius viene incaricato da Ponzio Pilato di trovarlo, di risolvere il mistero. E lo trova, per davvero, insieme ai suoi più intimi discepoli, gli apostoli. In Clavius certo cresce il dubbio, perlomeno di trovarsi di fronte a qualcuno di straordinario, che lo cambierà per sempre.

Ma l’effetto di quella resurrezione è stilisticamente macchiettistico. Gesù (che appare e scompare e poi se ne va in un’esplosione di luce) e gli Apostoli sembrano quasi una scolaresca in gita. Dove sta il mistero, la ricerca, la tensione, il dubbio, la sottrazione? L’apparizione, reale, in carne e ossa del Cristo risorto, l’evidenza, non lascia nulla alla forza del cuore e alla sensibilità della mente. Ne L’inchiesta di Damiano Damiani il Cristo risorto non appare mai, “è dappertutto, è sempre con noi, nei nostri cuori”, come testimonia più di un seguace ad un glaciale, disincantato e cinico Keith Carradine nella parte dell’investigatore Tito Valerio Tauro. Un utile esercizio sarebbe quello di vedersi, uno dietro l’altro, il lavoro di Damiani e quello del regista americano. Per cogliere come nel primo si indaga, non senza finezza stilistica, il mistero della vita, i dubbi e le domande che questa pone. Non un film indimenticabile, ma onesto e generoso. A fronte di un blockbuster dalle molte pretese ma dagli esiti mediocri. La cui unica vocazione è quella di mostrare, senza togliere e sottrarre, come la materia messa sullo schermo equivalga a qualsiasi altra. Senza alcuna profondità, se non quella di una colonna sonora buona per tutte le occasioni, una messa in scena piatta, senza colori e gradazioni e un realismo privo di sfumature. .

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina