È l’uccellino celeste il nuovo telefono rosso?

Per un paio d’ore, siamo stati tutti con il fiato sospeso: quel missile caduto in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, poteva rappresentare una svolta drammatica nella guerra provocata da Putin: la Polonia, infatti, è “territorio Nato” e quell’attacco poteva portare ad un allargamento del conflitto. Una serata con il mondo con il fiato sospeso e dove la scansione delle novità che arrivavano era segnata da Twitter: non solo perché è il social network usato da giornali e giornalisti, ma perché erano gli stessi governi ad intervenire direttamente sulla piattaforma dell’uccellino che cinguetta.

I primi tweet sono stati pubblicati dal Governo polacco che denunciava la Russia di aver lanciato il missile che aveva distrutto una fattoria e ucciso due persone. Il messaggio – ovviamente rispettoso delle 280 battute (limite massimo per un tweet) – si concludeva con il richiamo all’articolo 5 del Trattato atlantico, quello che prevede la difesa comune in caso di attacco. Dopo pochi minuti, era stato il presidente ucraino Zelensky – con un breve e accorato video diffuso su Twitter – a chiedere alla Nato di intervenire contro la Russia. A difesa della Polonia, fianco a fianco con l’Ucraina.

Una escalation di tweet che, messi in fila, davano l’idea di quanto si stava rischiando. “Difenderemo ogni centimetro di territorio della Nato”, precisava il Pentagono. Dichiarazione che si aggiungeva al tweet dell’autorevole agenzia americana AP che citava “un alto funzionario dell’intelligence americana” per confermare l’origine russa del missile (un vero e proprio infortunio che è costato il posto al giornalista autore dello scoop, licenziato alcuni giorni fa per quell’errore). Parole pesanti, al punto che lo stesso ministero della difesa di Mosca decideva di intervenire: “I rottami dei presunti missili russi caduti sul territorio polacco, nulla hanno a che vedere con armamenti russi”. Un dialogo in diretta, che tutti potevano leggere e commentare, dove una frase fuori luogo avrebbe potuto avere conseguenze pesanti. Al punto che, pochi minuti dopo le 22, nel pieno della bagarre, è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, a cercare di buttare acqua sul fuoco. Con un tweet, ovviamente. “È importante che tutti i fatti siamo accertati”.

Nella serata della paura, Twitter si è dunque trasformato nell’unico spazio di confronto tra governi che altrimenti non avevano (e non hanno) la possibilità di dirsi le cose. “Per ore non siamo riusciti ad avere un contatto telefonico con i russi”, ha ammesso uno dei portavoce della Casa Bianca richiamando il fatto che anche nei momenti più bui della guerra fredda c’era almeno un “telefono rosso” tra Mosca e Washington.

Visto il ruolo di Twitter in questa vicenda e il suo peso in tante altre situazioni delicate (politiche ed economiche), la domanda che tanti si sono fatti è persino banale: è accettabile che uno strumento così importante sia nelle mani di una sola persona, l’uomo più ricco del mondo? È accettabile che lo scopo (dichiarato) del nuovo corso di questo social network sia quello di fare profitto ad ogni costo, anche a scapito dei temi, dei toni, dei linguaggi usati sulla piattaforma? “L’uccellino è tornato libero”, aveva annunciato Elon Musk all’indomani dell’acquisto e dopo aver sborsato 44 miliardi di dollari. In tanti (anche tra i leader italiani) hanno festeggiato il nuovo corso. Tra le voci fuori dal coro, quella del rappresentante della Commissione europea per le comunicazioni che, con un tweet, ovviamente, aveva prontamente replicato: “libero sì, ma nel rispetto delle regole della Comunità europea”.

Pochi giorni fa, dopo la decisione di Musk di licenziare 7.500 dipendenti, c’è stato un nuovo intervento di grande preoccupazione da parte di Bruxelles. Il timore dell’Unione Europea è che Twitter non riesca e non voglia rispettare il nuovo Dsa (Digital Service Act), l’accordo dell’aprile 2022 che obbliga le piattaforme ad una maggiore responsabilità sui contenuti. Evitando quelli illegali, nocivi e di vera e propria disinformazione.

Controlli che, nel gennaio di due anni fa, dopo l’assalto al Campidoglio, avevano portato i responsabili di Twitter a chiudere il profilo personale di Donald Trump, presidente sconfitto alle elezioni, ma ancora alla Casa Bianca in attesa del passaggio di consegne con Joe Biden. Forse non è un caso che il “nuovo Twitter” abbia riattivato il profilo di Trump. Lo ha fatto con un sondaggio (sulla piattaforma) che ha avuto l’appoggio di una dozzina di milioni di persone, appena un quinto dei follower “storici” dell’ex Presidente. Ma sufficienti per far dire a Musk: “Vox populi, vox dei”.

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