“Ero cieco e ora ci vedo”

1 Sam 16,1b.4.6-7.10-13;

Sal 22;

Ef 5,8-14;

Gv 9,1-41

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore”. Queste parole di san Paolo agli Efesini, che ascolteremo nella seconda lettura di domenica, ci rimandano al dono del battesimo, che ha rigenerato la nostra vita, permettendoci di passare dall’oscurità delle nostre mille contraddizioni ai bagliori della sua grazia.

Nel giorno del nostro battesimo Dio ci ha aperto una via sicura tra i flutti minacciosi del male e ha orientato i nostri passi verso una meta di salvezza: la nostra terra promessa, dove lo sguardo, liberato dalla fuliggine del peccato, spazia su una realtà rinnovata, abitata dalla presenza del Signore, ravvivata dai raggi benefici della sua parola e accarezzata dalla sua misericordia.

Questo percorso di illuminazione, che ci affranca dalle seduzioni del peccato e ci introduce in una dimensione nuova di libertà interiore, è simboleggiato dal racconto evangelico della guarigione del cieco nato.

Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita”: lo sguardo del Signore si posa su un povero cieco, immerso in un’oscurità, che lo isola da coloro che agguantano il mondo con uno sguardo, avvolto da un buio totale, che rende incerti i suoi passi e pregiudica ogni sua tensione verso il futuro.

Lo considerano un reietto: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?», chiedono i discepoli a Gesù. La terribile malattia, che dovrebbe impietosire gli animi e suscitare sentimenti di compassione, è ritenuta invece un castigo di Dio, una maledizione, una giusta pena da scontare nell’arco dell’intera vita.

Fa il mendicante: chiede l’elemosina,domanda un pezzo di pane per sopravvivere, implora umiliato un gesto di carità, che pochi sono disposti a concedergli, perché ritenuto colpevole o figlio d’impostori.

Gesù incontra un individuo, la cui soglia di dignità umana è di gran lunga inferiore al suo minimo comune denominatore: reso cieco dalla malattia, dai pregiudizi e dalla miseria. Egli, “la luce del mondo”, gli apre gli occhi, ricreandolo. “Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe», che significa ‘inviato’”.

Il Signore riconduce quel cieco ai primordi dell’umanità, per ricrearlo con una manciata di fango. Gesù, l’inviato di Dio, lo invita a lavarsi e a lasciarsi rigenerare da un’acqua, che gli consegna una nuova identità: “viene alla luce”, i suoi occhi per la prima volta si dilatano sul mondo, il suo sguardo può incontrare altri sguardi, in un intreccio di amore, donato e ricevuto.

È un uomo nuovo, che con occhi stupiti contempla il creato, finalmente libero da ogni giudizio di condanna e reso ricco delle meraviglie che Gesù ha compiuto in lui. Può proclamare gioiosamente la sua fede, il suo «Credo, Signore!».

Ritorna il “magistero degli incontri”: la vicenda di quest’uomo, strappato dalle tenebre e consegnato alla luce, ha molto da insegnarci, in particolare, su quell’evento fondante la nostra identità di fede, che è il battesimo.

Mediante questo sacramento il Signore ricrea la nostra vita, riportandoci all’innocenza delle origini; ci apre gli occhi del cuore, illuminandoci interiormente; ci arricchisce con il dono della sua grazia, innestando nel DNA della nostra anima il sigillo dello Spirito Santo; ci rende consapevoli di essere figli, che osano rivolgersi a Dio, chiamandolo Padre; e ci inserisce in una nuova famiglia, la Chiesa, chiamata a essere per noi e per tutti una madre accogliente.

Nell’avvicendarsi degli incontri e nella sinfonia dei dialoghi di questa pagina evangelica emerge qualche nota stonata, come la reazione scomposta dei farisei, che non credono alla guarigione del cieco e che, appellandosi alla Legge, cercano di accusare Gesù, dicendo: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato».

La malizia, l’astio e la supponenza offuscano la mente e pietrificano il cuore di quei giudei. La Legge, secondo la loro visione religiosa, viene prima della pietà. Accecati dalla loro dissennata presunzione di “vedere” Dio, di sapere tutto di Lui e di avere il diritto esclusivo di parlare in suo nome, vagano nelle tenebre del loro peccato.

In questo tempo di Quaresima, segno sacramentale di conversione, liberiamo Dio dalle false immagini che gli abbiamo cucito addosso e accogliamo con compassione chi è segnato nel corpo e nell’anima dalla fragilità, curando le ferite del suo cuore con il balsamo dell’ascolto, dell’accoglienza incondizionata e dell’amore fraterno.

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