“Esterno notte”, cambio di passo: il sequestro Moro in una miniserie tv

A vent’anni dal suo film “Buongiorno, notte” (2003) e quasi a quarantacinque dal rapimento e uccisione dell’on. Aldo Moro, nella primavera del 1978, il regista Marco Bellocchio torna a raccontare quella vicenda, con un cambio di passo. Lo fa con un’opera inedita e una modalità per certi versi innovativa: la formula della miniserie, “Esterno notte”, prodotta da The Apartment – Fremantle con Rai Fiction e Arte France, presentata al 75° Festival di Cannes e poi portata nei cinema, ora in tv. Bellocchio per la prima volta si confronta con il racconto tv, ripercorrendo i giorni di prigionia del presidente della DC, esplorando nei sei episodi tutti gli attori in campo di quella tragedia personale, familiare, politica e sociale. “Esterno notte” è una serie dura, durissima, incalzante, che si spinge sino ai confini della rabbia e della commozione. “Esterno notte”, ha spiegato Bellocchio, “perché stavolta i protagonisti sono gli uomini e le donne che agirono fuori della prigione, coinvolti a vario titolo nel sequestro”.

Sui brigatisti Bellocchio non fa sconti. Dura e netta è la condanna. La carica di contestazione che li anima perde forza e vigore lungo la prigionia dell’on. Moro, facendoli così apparire non come figure rivoluzionarie bensì uomini soli, insicuri, il cui sonno della ragione vacilla… Bellocchio non fa sconti neanche alla politica, al partito della DC, prendendo di mira in particolare Giulio Andreotti (Fabrizio Contri), allora presidente del Consiglio, e Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), ministro dell’Interno. Il regista si prende la libertà di accusarli a viso aperto, criticandone l’immobilismo, l’ipocrisia. Lo sguardo di Bellocchio è severo, fermo, bruciante. Una condanna senza appello.
Diverso, invece, è l’atteggiamento nei confronti della Chiesa. Il regista ci offre un ritratto di papa Montini, facendosi aiutare dalla finezza interpretativa di Toni Servillo. Il Papa è raccontato per la sua fragilità di salute – morirà subito dopo Moro, nell’estate del 1978 –, ma dall’animo sempre vigile e mai rassegnato. Papa Montini si dispera per l’amico Moro e fa di tutto, muovendo ogni canale a disposizione; mette persino in campo una ingente somma in denaro per pagarne il riscatto.

La vis poetica di Bellocchio emerge con intensità nel modo in cui presenta Aldo Moro, che Fabrizio Gifuni rende in maniera inappuntabile, con una mimesi espressiva e introspettiva di raggelante bravura. Moro brilla per la luce della sua ragione e per la forza granitica della sua fede, brilla anche negli anfratti più bui della prigionia. Appare come un povero Cristo, un “alter Christus”, che si incammina senza fare opposizione verso il Golgota, spintonato tanto dai brigatisti quanto dai compagni di partito. E questa sovrapposizione, tra Moro e Cristo, viene rimarcata volutamente da Bellocchio, che ce la offre con suggestioni oniriche striate di tragedia. “Quell’uomo – afferma Bellocchio – come Cristo, ‘doveva morire’. Perché nulla potesse cambiare non solo nella politica, ma soprattutto nella mente degli italiani”.

La fede è un punto centrale nella storia, come pure il bisogno di eucaristia. Bellocchio ci mostra Moro come un cristiano granitico, un uomo di fede piena. Ha bisogno di andare in Chiesa, non per coscienza partitica, ma per adesione personale e morale. Un’esigenza di eucaristia, di vicinanza a Cristo, proprio quando sta per attraversare lui la soglia della fine, quando sta per espiare sulla Croce. La fede che illumina Aldo Moro risplende anche in famiglia. Punto di osservazione è soprattutto la moglie Eleonora, che Margherita Buy scolpisce con fierezza e fragilità, regalando un ritratto spigoloso e struggente. Eleonora è una donna che fa quadrato intorno ai figli. Ripete di continuo “siamo cristiani”, un richiamo a un impegno civile, morale, che non deve venire mai meno. Neanche nella notte più buia.

In ultimo, la regia di Marco Bellocchio. È la sua prima miniserie Tv, che affronta con la sicurezza del grande autore, mettendo in campo una freschezza narrativa, una solidità e una tensione di racconto ammirevoli. Bellocchio, passati gli ottant’anni, dimostra di avere ancora molto da dire. Ha una vis narrativa, poetica, rigogliosa, grintosa. “Esterno notte” conquista dunque per il modo in cui è girata, per le soluzioni visive messe in campo, che ricordano il grande cinema. Una narrazione esperta, matura, percorsa da inedita vitalità. I temi che affronta sono complessi, difficili, spesso divisivi per come li declina, ma di certo non può essere negata la sua capacità di racconto, il suo potente sguardo. “Esterno notte” è una miniserie complessa, problematica e adatta per dibattiti.

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