Facebook secondo Mario “Musòn” Antolini

Profilo Facebook di Mario “Musòn” Antolini

L’ ultimo post, su Facebook, l’aveva scritto domenica 4 dicembre, al pomeriggio, poche ore prima di andarsene. “Sono affascinato e piacevolmente lieto delle vostre centinaia di messaggi che mi fanno sentire un uomo unico del genere al mondo. Grazie e grazie ancora con un caldissimo abbraccio che vada oltre alle potenzialità telematiche”.

Mario Antolini, 102 anni compiuti a giugno, era un innamorato di Facebook. Lo aveva scoperto qualche anno fa, spinto dalla curiosità e dalla volontà di misurarsi sempre con le innovazioni. Era stato così con il computer, poi per la rete e i misteri di internet, poi per la piattaforma dei social network. “Se tutti potessero usufruire della possibilità di interloquire grazie a FB con tante altre persone, certamente si potrebbe godere di rapporti interpersonali molto più evidenziabili in chi deve sentirsi chiuso nel silenzio dei propri pensieri. Grazie alle mie nipoti io mi sento più fortunato di tanti altri anche perché ho cercato costantemente di godere delle tecniche telematiche che ci sono state fornite dalla provvidenza per rompere gli isolamenti della vita moderna, augurandomi che tante altre persone lo possano saper e poter fare”, spiegava la domenica precedente, 27 novembre.

I post di Mario “Musòn” Antolini sono la testimonianza di un Facebook gentile, dove il peggio dei social rimane confinato sullo sfondo, isolato. Una piccola “piazza pulita” – nell’universo complicato dei social – dove Mario aveva scoperto la possibilità di rinnovare il piacere di scrivere, il gusto del conversare, la passione del confrontarsi con gli altri. Attento – diceva – “a dominare lo strumento, ad utilizzarlo con sapienza, evitando di essere dominato”.

Ringraziava Dio di avergli concesso, in età avanzata, la possibilità di dialogare, di conservare le relazioni e di stabilirne di nuove: la dimensione digitale come opportunità di incontro e non solo come luogo delle urla, delle offese, dell’odio, della cattiveria, di quel peggio del peggio che, oltretutto, viene premiato dagli algoritmi perché assicura lauti profitti agli azionisti. Guardava, eccome, il numero delle reazioni registrate dai suoi post. Non era però narcisismo.

Gli davano l’idea dello spazio che si allarga, del mondo che riusciva ad intercettare anche nell’ultimo periodo, quello che lo aveva visto prima degente ad Arco e poi ospite della Rsa di Spiazzo. E così, nel post del 27 novembre, annotava: “Confortato delle oltre 400 reazioni e degli oltre 70 commenti alle mie considerazioni sul personale di assistenza nelle strutture sanitarie avute in sole 24 ore. Sono certamente sincere e dimostrano come la generosa disponibilità verso il prossimo sia tutt’ora viva ed operante nella nostra società”.

Dietro l’entusiasmo quasi fanciullesco per questo strumento, non c’era però ingenuità: aveva ben presente i limiti – e i rischi – di questi spazi che ammaliano, regalano illusioni, distorcono la realtà, moltiplicano le solitudini. “Dobbiamo imparare ad usare Facebook per diffondere il bene”, replicava convinto. Lui che il mondo lo aveva girato e conosciuto, che era a soli 70 chilometri da Hiroshima quando esplose l’atomica; lui che guardava alla storia grande, ma studiava e divulgava le storie minori delle comunità territoriali (in primo luogo delle “sueGiudicarie), si era fatto convinto che gli strumenti non sono di per sé buoni o cattivi. Tutto dipende da che uso ne vuoi fare, da cosa vuoi comunicare.

Accogliendo in visita il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, era stato, del resto, proprio papa Francesco a delineare la “funzione positiva” del social network: “Hanno parlato di come usare le tecnologie di comunicazione per alleviare la povertà, incoraggiare una cultura dell’incontro, e fare arrivare un messaggio di speranza, specialmente alle persone più disagiate”, aveva spiegato il portavoce della Santa Sede. Un percorso possibile che Mario Antolini riprendeva anche nel suo ultimo post. E che rimane una sorta di impegno per tutti quelli che frequentano Facebook: “Ci sentiamo singolarmente impegnati al meglio che possiamo, cosicché miglioriamo l’atmosfera sociale e l’armonia del mondo”.

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