Fuga in avanti con strappo

Il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte

Che il coronavirus ci renderà migliori è tutto da dimostrare. Certamente – può apparire paradossale – ci fa… cadere la maschera. Ci mostra per ciò che siamo.

Un’emergenza come quella che viviamo è anche un’occasione offerta alla politica per diventare ciò che dovrebbe essere anche in tempi normali: un agire lungimirante nella prospettiva del bene comune. Non una lite perpetua per occupare gli angoli migliori nel cortile, ma azione per cogliere i bisogni reali delle persone e dare risposte, con un’attenzione particolare a coloro che da soli non ce la fanno. Non studiare le paure della gente per alimentarle e tradurle in voti, ma prendere sul serio quelle paure, offrire punti d’appoggio sicuri, dare forza alla comunità che sorregge i più deboli o chi (tutti prima o poi) attraversa momenti difficili.

In una crisi sanitaria che produce vittime e che mette in ginocchio l’economia, la “politica” degli sgambetti è semplicemente immorale. Ne abbiamo episodi tutti i giorni. Ma non è esattamente questo che accade in Alto Adige. Il coronavirus in provincia di Bolzano ha creato invece un problema di ordine psicopolitico. Improvvisamente la presenza dello Stato si è manifestata con la serie di decreti del Presidente del Consiglio e dei decreti legge, ai quali la politica provinciale ha tenuto il passo solo con un certo affanno. Abbiamo avuto così il decreto di Giuseppe Conte e poi, due giorni dopo, quello di Arno Kompatscher, che riprendeva al 98 per cento quello di Conte, con qualche ritocco qua e là (a parte la traduzione in tedesco che ovviamente è essenziale, per motivi di comprensione e perciò di sicurezza). Con la sottolineatura che a Bolzano le ordinanze del Presidente della Provincia, sono quelle che fanno testo.

Man mano che la crisi avanzava e con essa il nervosismo, sono emersi i soliti temi dell’eterna rivalità tra Stato e Provincia, tra autonomia e “centralismo romano”. Solo che in questo caso si stava facendo fronte, a Roma, a una pandemia su scala nazionale, anzi europea, anzi mondiale. Le lacrime su Facebook rispetto alle incongruenze della comunicazione governativa sono apparse a molti fuori luogo, tanto più che la macchina provinciale altoatesina in più occasioni non ha dato affatto prova della sua proverbiale efficienza.

Verso la fine della “fase 1” la politica locale ha scelto il vincere facile. Di fronte al concretissimo disagio del mondo economico, compresi i piccoli imprenditori, il piccolo commercio, il turismo ecc., è venuto spontaneo attribuire allo Stato la colpa della situazione. Invocando una “via altoatesina”.

Nell’annunciare, lo scorso fine settimana, la legge per l’uscita dal tunnel, il segretario della Volkspartei Achammer spiegava che “con questa legge provinciale stiamo finalmente offrendo alle nostre famiglie e imprese la prospettiva e la sicurezza che finora non ha dato il governo romano”. Da notare che la Provincia ha solamente anticipato di alcuni giorni provvedimenti che a livello nazionale sono già decisi e attendono solamente che gli enti preposti emanino i protocolli per la sicurezza. Di qui l’annunciato ricorso da parte del Governo.

Però, per coprire le proprie debolezze e per ribadire chi è il gallo nel pollaio, bisognava partire in volata de staccare il gruppo. “La politica è sempre anche una messinscena, persino in una crisi”, ha commentato il settimanale FF, definendo questa politica “meschina” (kleinkariert) in relazione alle sfide che si devono affrontare.

Che l’autonomia altoatesina (o di altre regioni) esca rafforzata da questi strappi istituzionali è cosa assai dubbia. Certamente ha ragione da vendere il presidente Kompatscher quando afferma: “Se questa sarà una ripartenza o il preludio a una seconda ondata di contagio, dipenderà dalle azioni quotidiane di ciascuno di noi”. Qualunque sia la malattia di cui si parla.

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