I vitigni che resistono

Dal 2011 ad oggi sono stati iscritti al registro nazionale delle varietà otto vitigni con diverse caratteristiche di resistenza e produttive e una decina sono in fase di valutazione

“Viticoltura di montagna e vini a residuo zero: quale rapporto?”. È il titolo di un incontro tecnico che si è svolto il 3 luglio a Cembra nell’ambito della 27° Rassegna Vini Muller Thurgau.

L’argomento vitigni resistenti (a oidio e peronospora) è di attualità a livello mondiale, ma per il Trentino rappresenta una novità, anticipata però qualche anno fa da Mario Pojer, contitolare della cantina Pojer Sandri di Faedo. Da uve vendemmiate da un vigneto di Solaris (vitigno resistente) piantato a Grumes in alta Val di Cembra, Pojer ricava un vino denominato “Zero Infinito”. Il vitigno è geneticamente resistente a peronospora e oidio. Non richiede quindi trattamenti chimici e il vino non contiene residui di fitofarmaci.

I vitigni resistenti rappresentano una grande opportunità per chi sceglie la viticoltura biologica e/o biodinamica. Di vitigni resistenti si è iniziato a parlare già alla metà dell’’800 a seguito della comparsa in Europa prima dell’oidio (1845), poi della fillossera (1859) ed infine della peronospora (1879).

Dall’ibridazione artificiale fra viti di specie americane diverse dalla vite europea si ottennero portainnesti resistenti alla fillossera. In seguito con lo stesso sistema sono stati creati gli ibridi produttori diretti che fino alla metà del ‘900 ebbero grande diffusione anche in Trentino. Producevano molta uva e non richiedevano trattamenti contro oidio e peronospora, ma il vino non era di buona qualità e conteneva alcol metilico. Una legge degli anni ‘70 ha reso obbligatoria la loro estirpazione.

Alcuni Istituti di ricerca europei hanno continuato a lavorare per ottenere nuovi vitigni dotati di caratteri di resistenza alle malattie, ma anche in grado di dare vini accettabili.

In questo settore si è distinta la Stazione sperimentale di Friburgo dalla quale provengono i vitigni resistenti iscritti nel Registro nazionale delle varietà di vite ammesse alla coltivazione in Italia. Le varietà a bacca bianca sono: Bronner, Johanniter, Helios e Solaris. Quella a bacca rossa sono: Regent, Cabernet Cortis, Prior, Cabernet Carbon.

Per quanto riguarda l’origine genetica si evidenziato che questi vitigni hanno una percentuale maggiore del 90% di genoma di origine di Vitis vinifera e nel pedigree non sono presenti specie di Vitis che normalmente portano aromi particolari come la Vitis labrusca ed in alcuni casi non sono presenti portatori di composti come i diclucosidi utilizzati come indicatori di provenienza genetica delle uve o dei vini in quanto la Vitis vinifera non ne presenta.

Per poter essere coltivate in Trentino, queste ed altre varietà che si renderanno disponibili in futuro devono essere inserite in uno specifico elenco approvato dalla Giunta provinciale.

Sempre in riferimento al Trentino va tenuto presente che la Fondazione Mach di S. Michele esclude il ricorso a piante geneticamente modificate (OGM). La clausola vale anche per la vite. La precisazione è d’obbligo perché le modalità per ottenere un vitigno resistente sono due: l’incrocio (ibridazione, breeding) e il trasferimento di geni. L’incrocio si può fare tra varietà di Vitis vinifera (incrocio intraspecifico) o tra varietà di Vitis vinifera e varietà di altre specie del genere Vitis od anche di generi diversi (incrocio interspecifico).

La distinzione vale per entrambe le modalità operative. Va inoltre tenuto presente che la legislazione italiana e quella europea in materia di vitigni resistenti non sono coincidenti. È più severa quella italiana per la quale un vino che si vuole fregiare della Doc o Igt deve provenire solo da vitigni appartenenti alla specie Vitis vinifera. Chi coltiva un vitigno resistente proveniente da incrocio o da trasferimento di geni e ne vinifica l’uva può solo avvalersi della dicitura di vino generico.

I ricercatori di S. Michele lavorano già dalla metà degli anni ’80 nel settore del miglioramento genetico della vite. Hanno in osservazione e coltivano presso la FEM da 8 anni i principali vitigni resistenti attualmente disponibili vinificandone l’uva prodotta. Contemporaneamente continuano il lavoro di ibridazione per ottenere vitigni resistenti di sangue di Vitis vinifera. Ai geni della resistenza cercano di abbinare geni che controllano uno o più caratteri qualitativi. La procedura è sempre rappresentata dall’incrocio di tipo tradizionale.

Le prospettive di coltivazione di vitigni resistenti in Trentino sono per il momento limitate alle zone marginali o a ristretti ambiti ritenuti sensibili all’inquinamento da fitofarmaci. Rimane però aperto l’impiego nella viticoltura biologica che è in fase di continua espansione.

Nel suo intervento al convegno di Cembra, al quale erano presenti purtroppo pochi viticoltori, Mario Pojer ha precisato che la pulizia assoluta da residui (non solo chimici) non è però dovuta solo ai mancati trattamenti, ma all’applicazione scrupolosa di una serie di interventi non invasivi quali la spremitura dell’uva in atmosfera di azoto, il lavaggio dei grappoli con acqua per eliminare i depositi portati dall’aria, l’uso di lieviti naturali quali fattori antiossidanti. Un vitigno resistente deve essere piantato in un ambiente ad esso confacente.

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