Il cimitero è fuori moda

Tra pochi giorni arriva il primo di novembre, e oltre alle commemorazioni dei propri cari defunti, porterà con sé le sante Messe nei cimiteri. Spesso ho riflettuto sul senso di queste funzioni e pure dei cimiteri stessi. Credo che sia importante pensare alla morte, proprio in questo tempo in cui è rimossa, oscurata dalle luci di negozi sempre aperti; la morte viene nascosta in quei posti dove è la norma che accada, come negli ospedali. I medici fanno fatica finanche a nominarla, perché – non sia mai! – parlando di essa non si finisca per pensare al senso di vivere. Il cimitero è fuori moda, caro Piergiorgio, e forse andarci ha ancora un senso, ma non ce l’avrebbe ancora di più se l’eco del memento mori non si frangesse sulle sue pareti di cemento?

Sergio

In uno dei suoi ultimi saggi Norberto Bobbio, riflettendo sulla vecchiaia e sulla morte, si meravigliava del fatto che gli uomini si dividessero per ogni tipo di ragione – per una bandiera, per un territorio, a seconda dei gusti artistici, attraverso le abitudini alimentari – ma che invece si distinguessero in maniera sfumata tra chi crede che con la morte sia finito tutto e quanti invece sperano in una vita futura. Secondo Bobbio questa differenza di visione del mondo dovrebbe ripercuotersi sulla vita più di qualsiasi altra cosa. Ma così non è. Può essere perché un materialista non riesce a trarre tutte le conseguenze del suo pensiero e un credente in fondo non si fida del tutto di Dio e della religione?

In fondo siamo tutti uguali di fronte alla morte. Amiamo la vita, dobbiamo amarla. E la morte la contraddice dalle fondamenta. Il pastore luterano Bonhoeffer Scriveva: "solo quando si ama a tal punto la vita e la terra, che sembra che con esse tutto sia perduto e finito, si può credere alla resurrezione dei morti e a un mondo nuovo".

Dal punto di vista biologico è necessaria: la vita e la morte sono inseparabili. Siamo animali, dunque mortali. Cosa resta però di un familiare che abbiamo perduto, di quell’amico che non siamo arrivati in tempo a salutare, di quelle presenze, di quella compagnia abituale che ci riempiva le giornate? Resta un’assenza. Un vuoto, un ricordo dapprima fortissimo ma che poi si illanguidisce inesorabilmente nel corso del tempo. Per fare memoria di chi ci ha lasciato, dobbiamo amare profondamente la vita, considerandola insieme con la morte, ritenendola un cammino, un mistero strano, un rincorrersi di giorni che avranno un termine.

La società individualistica cerca in tutti i modi di allontanarci dal pensiero della morte. Io direi soprattutto dalla morte vissuta come evento collettivo. Se tralasciamo i caduti in guerra o per qualche attentato – vittime celebrate in maniera ossessiva – si muore privatamente. Sovente da soli. E poi non c’è più luogo per fare memoria, per costruire una memoria condivisa. Questo sarebbe il cimitero. Un luogo sacro, davvero un camposanto. Però, hai proprio ragione: è fuori moda, inattuale, inutile. Specie per i giovani. a mio parere la decadenza dei cimiteri è un segno evidentissimo del declino della civiltà.

Su questo punto seguo la visione di Ugo Foscolo. Il poeta, che non era di certo un credente, aveva però intuito la strettissima correlazione tra la vita, gli affetti reciproci, la dolorosa tenebra del trapasso, l’energia dell’amore che supera la morte, la forza della memoria, tra tutto questo e la presenza di un luogo fisico dove coltivare questi sentimenti. L’umanità nasce nel momento in cui si seppelliscono i morti e quando si conserva la loro memoria. Le tombe non servono ai morti, ma sono una necessità per i vivi.

Il luogo a Gerusalemme in cui si ricordano le vittime della Shoà si chiama Yad-wa-Shem (“mano e nome”) che rimanda a un versetto del profeta Isaia (56,5) per cui Dio promette di conservare un ricordo perenne del suo popolo, e di dare a ciascuno un posto, un nome, una testimonianza in eterno.

Oggi i morti non hanno pace neppure al cimitero: non c’è posto e quindi bisogna riesumare i resti e portarli alla cremazione. A volte le ceneri finiscono nel campo di demineralizzazione; del defunto non rimane nulla, neppure un semplice nome su una lapide. E questo può avvenire anche solo a 10 anni dalla morte! Questa mi sembra una rimozione completa del passato, ormai marginalizzato, privatizzato.

Non credo che sia una questione esclusivamente di fede religiosa illanguidita. Andare sui cimiteri dovrebbe essere un dovere civico. Per rinsaldare i legami con le generazioni passate. Per capire il presente. Per conoscere almeno un poco noi stessi… Quindi per assaporare meglio la vita.

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