Il coronavirus “stoppa” Magnago, celebrazione rinviata al 2021

Silvius Magnago (1914-2010). Foto Gianni Zotta

Tra le iniziative che il coronavirus ha indotto a rinviare a tempi migliori c’è la celebrazione dei dieci anni dalla scomparsa di Silvius Magnago, che se ne andò, all’età di 96 anni, il 25 maggio del 2010.

Magnago – uomo simbolo dello sviluppo dell’autonomia altoatesina e regionale – è “portatore sano” di tutti gli accidenti, positivi o negativi che siano, che caratterizzano la storia e la vita di una terra di confine, sul confine, come il Tirolo, con tutte le sue articolazioni passate e presenti.

Già quel nome – Silvius Magnago – allude a una storia non del tutto lineare. Nacque a Merano, la capitale dell’antica contea, da padre italotirolese (roveretano) e da madre vorarlberghese. Dunque, sul piano dell’ascendenza, nessuna radice nel Sudtirolo propriamente detto se non appunto il suo stesso certificato di nascita. Padre di lingua italiana, magistrato imperiale, e madre di lingua tedesca, in contraddizione con l’immagine di un Tirolo monoetnico che in quegli anni prendeva forma sull’onda dei nazionalismi.

Magnago crebbe nell’epoca dei totalitarismi e nel 1939, in occasione delle Opzioni, fece la scelta che fecero i più. Chiamato alle armi nelle file della Wehrmacht, perse una gamba nella campagna di Russia.

Nel maggio 1945 – mi raccontò diversi anni fa – ho trovato un Paese democratico che muoveva i primi passi. Parlando alla mia generazione ho subito cominciato a dire: non è il momento di stare con le mani in mano, solo perché la dittatura è finita. In quel periodo milioni di tedeschi venivano espulsi dai Paesi dell’Est. Noi avevamo avuto la ‘fortuna’ di poter restare o ritornare nella nostra terra. Mi sono sentito in dovere di impegnarmi a favore del mio gruppo linguistico e di quello ladino, che erano stati oppressi durante la dittatura, ora che c’era la libertà di farlo. E ho imparato ad apprezzare questa libertà man mano che l’ho conosciuta. Noi, sotto la dittatura, non avevamo conosciuto la libertà e la libertà non si apprezza se non si conosce”.

Fu l’uomo che, nel 1957, a Castelfirmiano, lanciò lo slogan del “Los von Trient” (“Via da Trento”), denunciando la mancata attuazione dell’Accordo di Parigi. Fu lui a strappare la guida del dissenso sudtirolese a coloro che avevano già cominciato a percorrere la strada della violenza e della rivolta armata.

Nei primi anni Novanta, ormai a fine mandato, girava per le valli del Trentino a raccogliere voti per il suo partito. Diceva: “Noi non ce l’abbiamo mai avuta con i trentini, con i quali condividiamo secoli di storia. Il problema era che l’autonomia delle province era troppo scarsa rispetto a quella della Regione e la realizzazione del ‘Los von Trient’ è tornata a vantaggio anche dell’autonomia trentina”.

Aveva il senso del limite: non sollevò mai la questione della toponomastica, ben sapendo che in quel modo si sarebbe andati a ripetere gli errori e le ingiustizie a cui faticosamente si era ora trovato rimedio. E ribadiva, già nei suoi interventi pubblici degli anni Ottanta, che l’autonomia non è “a favore di un solo gruppo linguistico”, ma è un’autonomia “territoriale”. E alla domanda se una terra trilingue debba essere considerata un problema piuttosto che una risorsa, rispose così: “Dobbiamo dire che è una ricchezza. Lo Statuto considera la tutela delle minoranze linguistiche come un interesse nazionale. Quindi lo Stato italiano non parte dal principio che una minoranza linguistica sul suo territorio sia un corpo estraneo da snazionalizzare. La presenza di un gruppo con un’altra storia, un’altra cultura, un’altra lingua è un arricchimento. È una ricchezza anche perché c’è la possibilità di scambio tra le culture. Però per questo è necessario che prima ognuno cresca forte nella sua cultura: poi, nello scambio, potrà ricevere e anche dare”.

Dovendo indicare il politico italiano col quale c’era stata maggiore intesa, Magnago faceva il nome di Aldo Moro. Per la sua capacità di ascoltare, di dare il tempo necessario al proprio interlocutore, di parlare chiaro rispetto a ciò che fosse possibile o impossibile fare. Magnago e Moro, due persone appartenute a un’epoca – ammesso che sia mai esistita – in cui la cialtroneria politica rappresentava ancora solo una fastidiosa eccezione.

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