Il cristianesimo e la decadenza dell’Europa

Qualcuno misura ancora il successo ecclesiale con l’influenza politica. Transeunte ed effimera

In un articolo sul Corriere, Ernesto Galli Della Loggia ha legato l’avanzata dei populismi in Europa alla decadenza dei due partiti che hanno segnato la storia europea degli ultimi sessant’anni, cioè il partito social-democratico e quello d’ispirazione cristiano-cattolica. Rispetto a quest’ultimo in particolare, l’articolista ritiene che il problema stia nell’avanzata della secolarizzazione e, allo stesso tempo, a una cultura del “senso di colpa” nei confronti di ciò che ha rappresentato la nostra civiltà, vedendo di questa solo gli aspetti negativi. Secondo te è così? La diagnosi dello storico Galli Della Loggia, basata alla fine sul crollo dell’identità, ha un suo fondamento? Oppure ritieni possano esserci altre cause?

Gianfranco

Le analisi dello storico sono sempre interessanti. Affrontano il cuore del problema ponendo interrogativi ulteriori che spingono ad approfondire quei ragionamenti. Lo storico Galli Della Loggia muove seguendo una precisa impostazione culturale, quella liberale, che trova in Benedetto Croce la figura di riferimento. Come è noto, Croce era un filosofo laico, non di certo cattolico, ma che ugualmente poteva dire la celebre frase per cui: “non possiamo non dirci cristiani”. Questa affermazione derivava dalla consapevolezza di quanto il cristianesimo abbia forgiato la civiltà europea che non può pensarsi senza questa prospettiva di fede, da cui è scaturita anche una cultura, una forma di vita e quindi istituzioni civili e politiche. Il compianto Paolo Prodi, proveniente invece dalla tradizione cattolica, ha dimostrato più volte di come sia corretta questa impostazione.

Chiaramente manca a Galli una sensibilità “religiosa” in grado di fargli comprendere che il cristianesimo non è soltanto un movimento storico; si basa sulla fede in Gesù Cristo e non ha come obiettivo la costruzione o il mantenimento di una particolare civiltà. Il cristianesimo non può assolutamente coincidere con questa o con quella parte del mondo: è universale e come tale si è percepito fin dai primordi. Altrimenti sarebbe rimasto una setta giudaica. Non può neppure diventare “religione civile” per puntellare il sistema di potere del momento. Certo l’imperatore Teodosio, con l’Editto di Tessalonica del 380, sancì la religione cristiana come unico culto lecito; nel Medio Evo in Europa c’era la societas christiana che sosteneva il Sacro romano Impero; formalmente l’imperatore asburgico Francesco Giuseppe – uno dei protagonisti della Grande Guerra – era cattolicissimo. Sono solo esempi per dire che, per grazia di Dio, il cristianesimo non è mai stato solo la religione degli imperatori.

Venendo ai giorni nostri, riguardo al “senso di colpa” non sono affatto d’accordo con Della Loggia. In Europa c’è stato un paese, la Germania, che ha fatto i conti col suo senso di colpa dopo il nazismo. È stata un’operazione molto dolorosa. Ma la Germania oggi è un faro di civiltà. Ha elaborato il suo passato. In Francia non si può quasi parlare della guerra di Algeria, in Italia non sappiamo neppure le nefandezze che abbiamo fatto in Etiopia. Qual è l’approccio migliore? Quello che chiama alla responsabilità dei propri errori e crimini. Solo così può emergere una speranza, solo così si può costruire un’identità forte.

Per un cristiano la storia è nelle mani di Dio, è sempre “storia della salvezza”. Alle volte è inquietante pensare a questo, perché le vicende umane sono pregne di dolore, ingiustizia, male. Eppure è su questo terreno che Dio semina, in questa realtà sorge il regno di Dio. Un regno che non è di questo mondo. Quando i papi stigmatizzano i peccati della Chiesa, chiedono perdono, prendono le distanze da comportamenti un tempo ritenuti sacrosanti (penso ai temi della guerra) lo fanno per la fedeltà al Vangelo, non per sostenere l’Europa. Il Papa non è il “cappellano” dell’occidente!

Questa però è una prospettiva di fede. Tornando sul piano della storia, interpretata da un punto di vista laico, è vero che il cristianesimo sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva. Dopo la seconda guerra mondiale, furono politici cristiani a ricostruire l’Europa dopo la catastrofe bellica, ma fin da allora la cultura cattolica stava perdendo slancio e attrattiva. Perché? Per le divisioni interne? Per l’apertura al mondo voluta dal Concilio? O all’opposto per non aver capito il cambiamento in atto? Per aver presentato la fede in maniera incomprensibile agli uomini di oggi? Non si possono trovare cause univoche. Anche perché sarebbe un errore esiziale pensare che la Chiesa debba salvare il mondo con le sue forze. Eppure qualcuno misura ancora il successo ecclesiale con l’influenza politica. Transeunte ed effimera. Servirebbe una nuova cultura cristiana e cattolica che mantenga una sua specificità senza arroccarsi, ma soprattutto ricordando che il Vangelo non contiene la ricetta per la vittoria in questo mondo. Ci vorrebbero l’impegno e la consapevolezza di tutti. Il magistero di papa Francesco mi sembra sia la via su cui incamminarci: poveri, ambiente, pace, uguaglianza. Ecco i campi dell’impegno cristiano. Ricordandoci che al fondo c’è la misericordia di Dio.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina