Il digiuno del tempo

Multitasking. È questa la parola magica dell'era digitale. Tradotto significa in concreto fare molte cose contemporaneamente. Un esempio può chiarire meglio: mentre stiamo telefonando, scriviamo una e-mail sull'ipad, siamo in una conversazione tramite la chat di un social network magari con uno o più amici oltre oceano, siamo sintonizzati su un canale televisivo che dà le notizie in tempo reale. Il rischio è quello di una bulimia di comunicazione che impone quasi di dimenticarsi dell'interlocutore, percepito come uno dei tanti contatti da tenere nel medesimo istante. Occorre riempire i tempi morti – che al computer si misurano in termini di secondi – e quindi, mentre aspettiamo la risposta al nostro messaggio, possiamo chiacchierare con qualcun altro oppure completare un lavoro. Crediamo così di riuscire a fare più cose in meno tempo, ma in realtà spesso aumenta la confusione, generando ansia e ulteriore urgenza.

 Intendiamoci, è insito nell'animo umano il desiderio di relazione ma pure di innovazione: se le possibilità di agire si moltiplicano, si moltiplicano anche i progetti nuovi da realizzare, le idee da mettere in campo, i sogni da condividere. È difficile accontentarsi, sapersi fermare.

Come per ogni cosa anche questa esplosione di potenzialità insita nelle nuove tecnologie è un'arma a doppio taglio, può aiutare nella realizzazione della persona come degradare la vita degli individui al semplice riflesso del caotico turbine di sensazioni, emozioni, informazioni che ci piomba addosso quotidianamente. Il pericolo più grande sta però nell'omologazione del tempo: questo flusso continuo non distingue più notte e giorno, sera o mattina, giorno di festa o di lavoro. A questo appiattimento concorre il modello economico e sociale ora in auge, un sistema basato sulla concorrenza e sulla presunta libera scelta individuale, per cui i negozi devono essere aperti anche la domenica, il lavoro è sempre più autonomo e privo di orari, il tempo per gli altri sempre più ridotto. Tutto poi si inverte: si va in maschera quando il carnevale è finito, i comici sono preferiti ai politici, il gioco d'azzardo è ritenuto più fruttuoso che un mestiere dignitoso. Da più parti si invoca una pausa, ma la traiettoria della società va inesorabilmente verso questo tipo di normalizzazione del tempo, percepito come qualcosa di sempre uguale a se stesso, da riempire a tutti i costi.

Da millenni le religioni hanno invece proposto un'alternativa, indicando l'esistenza di periodi speciali di festa o di purificazione e quindi umanizzando il tempo, scandendolo secondo ritmi consoni al nostro bisogno di rompere con la ciclicità degli avvenimenti, di fermarci per progettare nuovi inizi. Uno dei doni più grandi che Dio ha fatto agli ebrei è il sabato; mentre per i musulmani i cinque momenti di preghiera accompagnano la giornata.

Per i cristiani in questa settimana è incominciata la Quaresima. Un tempo speciale, diverso dagli altri periodi dell'anno, che chiama al digiuno e alla penitenza. Queste ultime due parole sono praticamente uscite dal lessico della maggior parte delle persone. Il ragionamento è questo: la vita è già dura e piena di sofferenza, perché dovrei infliggermi ancora certe rinunce? Messa così, è difficile controbattere. Il digiuno e la penitenza dovrebbero invece essere visti come momenti positivi, in grado di segnare la possibilità di ricominciare sempre, riuscendo a capire ciò che è veramente vale.

Prima che essere legato al cibo (anche se, ricordiamocelo, una cosa è sperimentare la fame, un'altra è discutere sulla fame) oggi il digiuno mi sembra più legato alla nostra gestione del tempo. Siamo tentati di fare 1000 attività senza ordine, senza disciplina, senza alcun tipo di gerarchia. Rinunciare a un pasto può essere tradotto con la rinuncia a riempire il tempo, rimpinzandoci di relazioni inesorabilmente più superficiali e meno vere ma che riescono in qualche modo a saziare il nostro appetito. Digiuno invece significa mettere da parte le abbuffate giornaliere e cercare di capire quali sono le relazioni che valgono.

Il periodo quaresimale ci aiuta in questo compito. Digiunare significa allora evitare sia di avere sempre lo stomaco pieno sia di non avere spazi di riposo e di riflessione (magari di preghiera), tempi in cui pensare anche agli altri.

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