Il fattore umano/2

Nonostante si sia potuto leggere di tutto, o quasi, seppure si ritenga di sapere parecchio sul clamoroso caso rivelato da Edward Snowden, super tecnico informatico che raccontò al mondo, nel 2013, la più grande operazione planetaria di controllo telefonico da parte della National Security Agency americana in nome della lotta al terrorismo, c’è da rimanere, ancora adesso, colpiti, dal film di Oliver Stone. E non pensiamo di essere gli unici. Perché, in Snowden, il racconto cinematografico fa sembrare le tesi orwelliane contenute in 1984 un affare da principianti.

La Nsa mentì fin davanti al Congresso, aveva in mano i nostri smartphone, era ormai fuori controllo, giudice di sé stessa. E’ il vero “buco nero” degli Stati Uniti, almeno di questi ultimi anni. Le immagini hanno una tale forza evocativa che altri mezzi non hanno. E in Snowden l’assunto è palese. Eppure, Stone è regista che non ama lo stile ricercato, né tantomeno gli effetti speciali. Non vuole stupire, far intendere, ma mettere sul piatto la nuda realtà, denunciando la violazione delle libertà personali, prima tra tutte il diritto alla privacy di cui peraltro in molti sono i primi detrattori buttando su facebook valangate di informazioni private senza rendersi conto dei possibili effetti.

Nella migliore tradizione liberal, se non radical, il regista americano prende spunto da due libri sull’argomento, The Snowden Files di Luke Harding e Time of the Octopus di Anatoly Kucherena per raccontare, in maniera lineare e classica, il travaglio del tecnico informatico, ora “rifugiato” in Russia e che ancora oggi in America non può tornare pena essere sottoposto a processo per aver attentato alla sicurezza nazionale. L’autore, peraltro discontinuo, di alcuni importanti film sul “cuore di tenebra” dell’universo stelle e strisce – Salvador, Platoon, Jfk ma anche U Turn – prende il via da quando il ventinovenne Snowden, rifugiatosi in un albergo di Hong Kong, rivela ad una coppia di giornalisti del Guardian, Glenn Greenwald e Ewen MacAskill (interpretato da un intenso Tom Wilkinson, sugli schermi anche ne La verità negata) e alla videoreporter Laura Poitras, l’enorme operazione di controllo di dati sensibili su scala mondiale. Termina con alcune dichiarazioni del vero Edward Snowden da Mosca.

Joseph Gordon-Levitt (tanta tv, parecchi film, molti non memorabili, partecipazioni in Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee e Lincoln di Spielberg) impersona, ed è parecchio somigliante, il tecnico informatico.

“Il mio consiglio – ha detto Stone – è di imparare a usare email e messaggi criptati. La sorveglianza di massa non è questione di terrorismo perché, nonostante le informazioni che abbiamo, gli attentati continuano ad accadere. Serve, piuttosto, a monitorare un Paese e dirottarlo nella direzione che più interessa”.

Resta una domanda: è veramente finita? I dubbi rimangono.

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