Il racconto della guerra dentro le nostre case

Tv Talk

Da più di due mesi la guerra è entrata nel nostro quotidiano, travolgendo anche il mondo dell’informazione e i palinsesti televisivi.

L’urgenza e la necessità di raccontare un dramma così vicino a noi, che si mantiene costante da settimane, è cambiata però nei modi, come ben rilevato da Tv Talk, programma di RaiTre che ogni sabato alle 14.55 porta in studio il dibattito sulla settimana televisiva. Dopo uno speciale interamente dedicato alla guerra, lo scorso 26 febbraio, Massimo Bernardini, affiancato da Cinzia Bancone, Silvia Motta, Sebastiano Pucciarelli e un gruppo di giovani analisti, dedica l’avvio di puntata a come il conflitto entra nelle nostre case, confrontandosi con i suoi ospiti.

Fin dai primi giorni è stato chiaro che questa è anche una guerra di comunicazione, tra due modi diversi di concepirla e di realizzarla: da una parte quella istituzionale, fredda e di regime di Putin, dall’altra quella social, popolare e contemporanea di Zelensky.

Nell’Occidente democratico il racconto del conflitto passa attraverso i canali che in questi anni hanno profondamente trasformato il mondo dell’informazione. Accanto al lavoro insostituibile degli inviati ci sono i contributi della gente comune, che con video e immagini documenta con un semplice cellulare gli avvenimenti mentre accadono, senza filtri e senza controlli. Il moltiplicarsi dei contenuti non sempre va di pari passo con la loro veridicità, amplificando, con l’emotività, il pericolo delle fake news e la conseguente sfiducia dello spettatore.

Di fronte ad un oggettivo sovraccarico informativo, i media tradizionali riacquistano potenzialmente una maggiore autorevolezza, un ruolo di approfondimento e di analisi che dopo l’emergenza sarebbe più che mai necessario ritrovare. Ma non sempre ne sono all’altezza. Col passare dei giorni riemerge la polarizzazione, tipica soprattutto dei talk show, che dominano il palinsesto giornaliero, accompagnata dalla personalizzazione del conduttore o dell’opinionista di turno, con la conseguenza che il conflitto si riacutizza anche sul piccolo schermo, alimentando le tifoserie.

La sfida per lo spettatore è ritrovare l’alfabeto della democrazia anche in campo informativo, partendo da uno spirito critico che si mette in discussione, che non cerca facili risposte ma voci autorevoli con cui confrontarsi e che sceglie i programmi televisivi con la consapevolezza che non cambieranno il mondo, ma che possono essere strumenti importanti per formare un popolo capace di guardare oltre la guerra.

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