Il ruolo dei laici

Il necessario rinnovamento di fronte alla progressiva diminuzione del numero dei sacerdoti ruota intorno alla presenza attiva dei laici

“La Chiesa si salva con l’organizzazione”, così affermava nel dopoguerra Luigi Gedda, il fautore dei “Comitati civici”, che si impegnò attivamente nella politica e nella società in un tempo in cui si sperava in una rinascita cattolica secondo i canoni di un’antica quanto immutabile tradizione. Al centro si ergeva la figura del Pontefice, perfettamente incarnata dallo ieratico Pio XII, mistico sovrano di un organismo tutto in mano al clero. Negli anni ’50 i seminari erano ancora pieni, il latino accompagnava qualsiasi rito liturgico, la società sembrava seguire le indicazioni ecclesiali in materia morale e negli stili di vita.

I più accorti osservatori capivano però che qualcosa, anzi molto, sarebbe cambiato, e in poco tempo. Bisognava riorganizzarsi per fronteggiare quella che allora veniva chiamata “l’apostasia delle masse”, cioè il processo di secolarizzazione che da tre secoli stava allontanando la maggioranza delle persone dalla Chiesa. Allora c’era un nemico palese da fronteggiare: il comunismo ateo che perseguitava i cristiani. E poi si credeva di poter attuare una sorta di “riconquista” ecclesiale, dopo il tragico periodo della dittatura e della guerra.

Di fronte al cambiamento epocale che stava per intervenire (e che in realtà era già accaduto) per fortuna la Chiesa non rispose soltanto con nuove strutture, con riforme organizzative che mantenessero nei fatti il modo di operare e di pensare ottocentesco, ma con il Concilio Vaticano II, ossia con un approccio completamente diverso. Si voleva parlare un linguaggio nuovo verso il mondo contemporaneo, puntando all’apertura e al dialogo, ma soprattutto si desiderava guardare a se stessi profondamente. Si immaginò allora una Chiesa più vicina agli ideali evangelici, poggiata sulle solide fondamenta della tradizione ma pure capace di autoriformarsi liberandosi per esempio di alcuni orpelli “monarchici” che circondavano il Papa Re, o introducendo nella liturgia le lingue volgari.

Piccole e grandi trasformazioni, sulle quali il giudizio è ancora suscettibile di varie interpretazioni, che però hanno segnato il tentativo di rispondere in maniera profonda e originale alla crisi di un’epoca. La Chiesa non si salva con l’organizzazione. Bensì percorrendo altre strade, quelle indicate dal Concilio: maggiore conoscenza della Parola; costruzione di un senso di comunità ecclesiale a fronte di uno spiccato individualismo nel credere; valorizzazione del laicato, compreso il ruolo delle donne; riforma della Chiesa istituzionale nella direzione di un primato dell’essere sull’avere, della povertà interiore ed esteriore a fronte dell’ostentazione di un potere tutto mondano.

Oggi viviamo un altro periodo di crisi, forse ancora più grave di quello di 50 anni fa. Mi concentro soltanto su un punto: la progressiva diminuzione del numero dei sacerdoti. Nella nostra diocesi, nel giro di brevissimo tempo (due, tre anni) andranno in pensione una quarantina di preti e purtroppo molti altri concluderanno la loro esistenza terrena. Come tutti sanno questi sacerdoti non potranno essere rimpiazzati. Come si risponde a questa situazione? Si potrebbe riprendere il detto di Gedda: con l’organizzazione, con l’accorpamento delle parrocchie, con le unità pastorali, con la diminuzione della frequenza delle Messe, con una nuova gestione degli uffici curiali. Tutti palliativi, perché, come abbiamo visto, ciò che occorre è una riforma qualitativa secondo lo spirito conciliare.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a questioni innumerevoli e molto complesse, ma il necessario rinnovamento ruota intorno alla presenza attiva dei laici. Ora essi sono ancora considerati da molti come una ruota di scorta, da utilizzare nelle situazioni di emergenza. Invece il loro ruolo potrebbe essere amplissimo: dalla guida di quasi tutti gli uffici diocesani alla gestione del patrimonio della Chiesa trentina, dalla presenza a convegni, incontri politici e inaugurazioni fino all’insegnamento nei vari istituti di scienze religiose e seminari teologici. Intendiamoci, questo sta già in parte avvenendo, ma come triste ripiego, non come convinta “cessione di sovranità” da parte del clero.

In una seconda fase si dovrà prevedere – e anche in questo caso abbiamo già esempi concreti – un ruolo dei laici nell’effettiva vita delle parrocchie, assumendo responsabilità non solo nell’ambito del catechismo o dell’animazione pastorale, ma anche nella liturgia stessa sfruttando le pieghe della tradizione che consentono importanti innovazioni senza dover aspettare dalla Curia romana quel cambiamento che sembra non arrivare mai. I laici potrebbero persino predicare.

Un giorno capiremo che queste semplici innovazioni erano surrogati banali rispetto a ciò che ci sarebbe stato richiesto. La discussione sull’ordinazione sacerdotale dei viri probati, sulla disciplina del celibato dei preti, sulla struttura stessa della Chiesa dovrà prima o poi essere messa all’ordine del giorno.

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