Il segreto della gioia

Sap7,7-11;

Sal 89 (90);

Eb4,12-13;

Mc10,17-30

In questa seconda domenica di ottobre l’abilità narrativa di Marco ci dona una delle pagine evangeliche più famose dove la grandezza di Gesù si scopre nella sua capacità di amare fino al punto di lasciar andare per la sua strada quel «tale» che troppo si era identificato con le sue ricchezze. Si tocca l’apice di un amore che indica il cammino autentico per avere una vita piena senza possedere l’altro, di un amore che non fa sconti per paura di perdere, ma osa puntare in alto rischiando. Da una parte molti temi si intrecciano in questa narrazione marciana: l’incontro, il desiderio, lo sguardo, la ricerca della vita, la gioia, la tristezza, le domande, le paure e le preoccupazioni e dall’altra parte emerge ancora l’interrogativo che sta alla base di questa sezione dell’evangelo secondo Marco (capitoli 8-10): che cosa significa seguire Gesù morto e risorto nella nostra vita quotidiana? Infatti, come già domenica scorsa, Gesù sta percorrendo la via che sale a Gerusalemme con i suoi discepoli e lungo la strada si lascia provocare da incontri inaspettati per illuminarci sul nostro essere suoi discepoli nella vita di ogni giorno. Oggi, su questa strada un uomo ricco si avvicina a Gesù e lo interroga. Questo tale non ha nome forse perché ognuno di noi possa riconoscersi in lui o forse anche perché la sua identità, lo sapremo solamente alla fine del dialogo, era oramai totalmente assimilata alla sua ricchezza. All’inizio, ci appare ammirevole, generoso, sincero: è uno che non si tira indietro davanti alla vita. Vuole vivere in pienezza e chiede: che cosa devo fare per avere la vita vera? Il suo incontro con Gesù nasce da una ricerca personale, sincera e motivata e il suo intimo è in subbuglio: dove sta la vera vita? I beni terreni possono assicurare la vita? Scegliere i beni o la vita? Possedere ricchezze o lasciare tutto per seguire quel «Maestro buono»? Si avverte un’insoddisfazione profonda che ci fa percepire una mancanza, un desiderio di colmarla e la sapienza di riconoscere i maestri capaci di orientare la vita. Gesù però non gli risponde subito, ma con una domanda lo provoca ad avere consapevolezza delle sue parole e a rientrare in se stesso. Si è rivolto a Gesù, l’ha chiamato «Maestro buono» e ora deve prendere coscienza di ciò che cerca veramente e chi è colui al quale si è rivolto. In un secondo momento, rimandando il ricco alla via dei comandamenti, «le dieci parole di vita», in particolare quelli che evidenziano la relazione con il prossimo, Gesù lo stimola a comprendere che la bontà che Dio vuole è la bontà verso gli altri. Ogni parola di Dio è data perché si impari ad amare, meta autentica di ogni comandamento. Se l’osservanza dei comandamenti non ci fa maturare in relazioni di prossimità e in maturità umana è un’adesione vuota e vana. Occorre riflettere, pensare e interrogarci. Di fronte alla provocazione di Gesù quel «tale» afferma: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza» e subito dopo Marco annota: «Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò». Con grande maestria l’evangelista ci fa intuire che non solo siamo arrivati al cuore della narrazione, ma anche della vita di quel «tale». È necessario compiere una scelta: essere discepolo del «Maestro buono» e seguire colui che è «la via, la verità e la vita». È richiesto un salto di qualità. Prima di chiamare alla sequela, Gesù ama colui che invita ad essere suo discepolo e per quell’uomo desideroso di fare qualche cosa per possedere la vita, è richiesto di accogliere un amore gratuito. Ecco la radicalità di ogni vita che vuole andare dietro al Risorto: non protagonismo, ma accoglienza totale di un dono dato con gratuità: l’amore di Cristo. Che significa questo lasciarsi amare per noi? Gesù non demorde e richiede al ricco zelante un abbandono di ciò che fino a quel momento era stato il tesoro della sua vita: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!». Cinque imperativi per vivere in pienezza, cinque azioni per fare spazio all’amore del Risorto. La sovrabbondanza di questo dono ha bisogno di spazio! Occorre fare una scelta. Occorre oltrepassare la soglia della propria sicurezza, dei protagonismi o delle proprie certezze. Bisogna scegliere a quale ricchezza aderire. Che cosa è più importante per me? Che cosa o chi preferire? Marco non teme di annotare che quel «tale», troppo attaccato ai suoi beni, non sa osare e compie il contrario della sequela: «se ne andò» portandosi dietro solo tristezza. I discepoli, con Pietro al primo posto, si inquietano. È una parola troppo esigente, come cavarsela? Gesù rivolgendo loro lo stesso sguardo d’amore li rincuora: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio». Se rimaniamo nella prospettiva umana seguire Gesù accettando le condizioni di questa sequela è assurdo, ma può diventare futuro se ci si affida radicalmente all’amore di Dio e se ci lascia penetrare dal suo sguardo senza paura di mostrare la nostra povertà. Questa è la vera sapienza (prima lettura): ricominciare ogni giorno affidandoci con fiducia alla misericordia di Dio. Ogni giorno siamo chiamati a scegliere tra «l’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé» (s. Agostino).

A cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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