Il trionfo di Orbàn e Vucic, autocrazie pericolose

Victor Orban a Mosca

Fa una grande impressione mettere a confronto due immagini della scorsa domenica. Da una parte la tragedia di Bucha in Ucraina, con i cadaveri di civili abbandonati lungo le strade semidistrutte dall’occupazione russa, cui sono con tutta evidenza da attribuire le esecuzioni sommarie di persone inermi. Dall’altra, la sera dello stesso giorno, il comizio festante per il trionfo elettorale di Viktor Orbàn per un quarto mandato al governo dell’Ungheria. Ovviamente non vi sono collegamenti diretti fra i due eventi. Ma di fronte alla guerra scatenata dalla Russia in un Paese confinante con l’Ungheria è quantomeno stupefacente constatare come l’elettorato ungherese abbia deciso di premiare nuovamente l’autocrate di Budapest, grande ammiratore e sostenitore di Vladimir Putin.

Per quelli della mia generazione che ricordano i giovani rifugiati ungheresi sopravvissuti alla repressione sovietica del 1956 è difficile interpretare oggi l’indifferenza dell’elettorato di quel Paese di fronte alla posizione smaccatamente filorussa del loro riconfermato leader. È vero che Orbàn, magari controvoglia, ha accettato le sanzioni dell’UE contro il governo di Mosca, ma allo stesso tempo ha negato il passaggio dal suo Paese degli armamenti Nato per aiutare la resistenza del popolo ucraino. Tanto che su questo rifiuto è stata cancellata la riunione del cosiddetto Gruppo dei 4 di Visegrad, composto oltre che dall’Ungheria, da Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Non era mai successo prima.

D’altronde è difficile conciliare le posizioni di una Polonia in prima fila nel guidare la sfida aperta a Putin con quella di un Orbàn legato mano e piedi a Mosca non solo per la dipendenza al 70% dal gas russo, ma soprattutto per una vicinanza ideologica allo zar del Cremlino. Viktor Orbàn è in effetti l’inventore del distruttivo ossimoro sulla “democrazia illiberale”: distruttivo, perché su questa base egli ha messo sotto il controllo dell’esecutivo il sistema giudiziario del suo Paese e ha varato una legislazione liberticida nei confronti della stampa e delle organizzazioni non governative.

È proprio alla luce dell’indebolimento della democrazia ungherese che Slola Commissione di Bruxelles e il Parlamento europeo hanno aperto una procedura d’infrazione contro Budapest, il cui governo sta calpestando i principi e i valori cardine su cui si basa l’intera costruzione dell’Unione europea. Una sfida aperta, che si riflette nell’ironico accenno ai burocrati di Bruxelles e alle loro “assurde” pretese con cui Orbàn ha chiuso il suo trionfale comizio dedicato alla vittoria. Il problema per l’UE, soprattutto dopo la strage di Bucha, sarà quello di inasprire ancora di più le sanzioni contro Mosca, magari arrivando a decidere la chiusura unilaterale dei gasdotti russi verso l’Europa con la speranza di accelerare la fine del conflitto.

Decisione difficilissima da prendere per molti europei troppo dipendenti dalle forniture russe, come ad esempio Bulgaria e Romania che superano le percentuali dell’Ungheria. Ma anche per Italia e Germania sarebbe oltremodo complicato adottare una misura del genere poiché le nostre importazioni di gas russo si collocano rispettivamente al 40% e al 55%, con l’aggravante per di più di essere i due maggiori Paesi manifatturieri d’Europa e quindi particolarmente legati a robusti rifornimenti energetici. Probabile quindi che una tale proposta, superata l’emozione di Bucha, non vedrà la luce e in effetti già da subito Germania ed Austria hanno avanzato riserve al riguardo. Ma anche se si superassero tali riserve, c’è da scommettere che l’Ungheria di Orbàn porrebbe il veto bloccando una deliberazione che può passare solo con un voto unanime da parte dei 27 Paesi membri.

Ma tornando alle elezioni ungheresi e al loro significato politico per la democrazia europea, vale la pena allargare lo sguardo alle contemporanee elezioni presidenziali in Serbia, dove è stato riconfermato il leader estremista Aleksandar Vucic, anch’esso dichiaratamente filo russo, tanto da avere ceduto a Gazprom l’intera compagnia petrolifera nazionale. Insomma anche qui siamo di fronte ad un autocrate, forse un po’ meno aggressivo di Orbàn, perché cerca in tutti i modi di avviare un processo negoziale per entrare nell’UE, pur rimanendo vincolato alla Russia. Una politica di ambiguo equilibrio fra Mosca e Bruxelles dettata da interessi nazionali, ma di grande imbarazzo per l’UE che non vuole cedere i Balcani all’influenza di Putin.

Più in generale, tuttavia, si avverte in queste votazioni una potente attrazione per modelli di governo autoritari, ai quali il tema della democrazia e dei suoi meccanismi istituzionali interessa sempre meno. Un campanello d’allarme, assieme alla guerra, per le nostre democrazie, che hanno una grandissima necessità di rinnovarsi radicalmente e di riproporsi ai propri elettori ancora come il migliore sistema di governo. Una battaglia che va iniziata immediatamente per evitare un progressivo scivolamento verso modelli sempre più autocratici e in prospettiva dittatoriali.

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