“Inquieti per amore”

2Cr36,14-16.19-23;

Salmo136(137);

Ef2,4-10;

Gv 3,14-21

A metà del nostro pellegrinaggio quaresimale ci sorprende una Parola così ricca di vitalità, di slancio e di speranza da infiammarci il cuore. Si potrebbe dire che la liturgia della Parola della Quarta Domenica di Quaresima è un cantico d’amore dove, secondo differenti modulazioni, viene annunciata la gioia di conoscere, di seguire e di accogliere un Dio che «premurosamente e incessantemente» ci ama. In tal modo entriamo sempre più nella ricchezza del mistero pasquale e siamo aiutati a prendere coscienza di come la logica della morte e della vita in Cristo debba entrare concretamente nella nostra esistenza quotidiana. Non facciamo fatica a percepire nelle tre letture caratterizzanti questa domenica due temi che si intrecciano: l’esperienza del peccato, della sofferenza, dell’infedeltà e del rifiuto e la presenza costante e tenace della fedeltà di Dio. Già a partire dalla prima lettura, tratta dal Secondo Libro delle Cronache, si percepisce con nitidezza che la distruzione del tempio di Gerusalemme e la deportazione del popolo a Babilonia non sono l’ultima parola di Dio sulla infedeltà e sulla idolatria di Israele. Un orizzonte di nuova speranza è già tratteggiato: «Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!» (2Cr 36,23). È la fine dell’esilio babilonese ed è l’inizio di una nuova storia di salvezza. Quell’invito a «salire» porta in sé tutta la carica di chi decide di mettersi in cammino, di ricominciare ridonando fiducia al Dio fedele alle sue promesse e ricco di misericordia. Dovremmo percepire questo annuncio di speranza in tutta la sua imprevedibilità e straordinarietà: un re pagano sarà uno strumento nelle mani di Dio per ricostruire il tempio. In tal modo il popolo potrà tornare nella propria terra. Nella terra di esilio dove si era perso tutto (terra, tempio, culto, re), quali potevano essere le ragioni della speranza per un popolo che stava vivendo una prova indicibile? Mai si sarebbe potuto pensare che la salita al trono del re pagano Ciro potesse essere visto come un segno di Dio! Proprio quando tutto sembrava concluso e desolato agli occhi degli uomini, Dio apre nuove vie. Dentro la storia. Dall’esilio si alza un annuncio di liberazione. Questo nuovo inizio, che sa dell’incredibile, chiede però di lasciare qualcosa, di lasciare quella terra dove magari si era abituati a fare senza Dio o a vivere nella lamentazione e nella rassegnazione. L’invito a rimettersi in gioco non è indolore. Alle volte, si preferisce rimanere nella «terra dell’esilio» perché non si vuole più credere alla novità della misericordia di Dio o perché non si vuole più rischiare in prima persona. Sì, alzare lo sguardo verso la terra promessa richiede alzare gli occhi intorno e guardare sperando nell’insperato perché ancorati alla fedeltà di Dio e alla sua misericordia. L’immaginazione di Dio ci supera sempre: quale Ciro, oggi, ci sta invitando a salire? San Paolo, da parte sua, nella lettera agli Efesini, annuncia con forza: «Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati». Ora, l’amore sovrabbondante di Dio, visibile in Gesù Cristo morto e risorto per noi, diventa l’unica fonte di vita capace di liberare, sostenere, vivificare, orientare e rinnovare la vita di ogni persona. Vivendo già nella risurrezione di Cristo, la comunità cristiana è chiamata a testimoniare una vita da risorti ove gesti concreti rendono evidenti a tutti la misericordia, la fedeltà, l’amore incondizionato e gratuito di Dio. Ci vengono in mente le parole di Papa Francesco: «Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!». (Evangelii Gaudium, 3). Come ritornello a questo nostro cantico d’amore si leva l’annuncio incandescente del Vangelo secondo Giovanni: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Siamo invitati a volgere lo sguardo al Figlio dell’uomo innalzato, ossia crocifisso e risorto. Come il serpente innalzato da Mosè nel deserto mostrava il Dio salvatore in grado di guarire il suo popolo dal male dell’incredulità (cfr. Numeri 21), ora il Crocifisso Risorto manifesta l’amore sovrabbondante, fedele e tenace di Dio. Occorre guardare con coraggio al Crocifisso perché solamente in Lui scopriamo il segreto della nostra vita. Attraverso questo amore folle del Figlio entriamo nel grembo della nostra storia: «noi siamo immersi in un mare d’amore, non ce ne rendiamo conto» (Giovanni Vannucci). Amati per imparare ad amare, cercati dall’Amore per vivere coraggiosamente e superare ogni nostra notte e squarciare ogni buio che attraversa le nostre vite. Come Nicodemo, nostro compagno di viaggio, che dalla notte dell’incredulità passa alla luce di una vita capace di Dio. Lui, personalità di spicco del Sinedrio, scriba e fariseo, diviene uomo in ricerca della luce, della vita autentica, della verità che non ti lascia mai quieto perché Dio sconvolge ogni nostra sicurezza. Nicodemo ci insegna che credere significa cercare sempre una via per amare, trovare strategie nuove per vincere il male con il bene e non rassegnarsi mai alle tenebre dell’indifferenza e della disumanità. Sempre inquieti perché imbevuti dell’amore sconfinato di Gesù Cristo morto e risorto per ciascuno di noi!

a cura della Comunità monastica di Pian del Levro

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina