La scelta

Il 23 giugno di ottant’anni fa l’intesa per le cosiddette “opzioni”. Un evento destinato ad aprire ferite insanabili tra la popolazione dell’Alto Adige

Il 23 giugno di ottant’anni fa, presso il comando delle SS a Berlino, fu raggiunta l’intesa per le cosiddette “opzioni”. Un evento destinato ad aprire ferite insanabili tra la popolazione dell’Alto Adige.

La delegazione italiana era composta dall’ambasciatore Bernardo Attolico e dal prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei, quella tedesca da Heinrich Himmler, dal console germanico con sede a Milano Otto Bene e dal generale Karl Wolff.

In sostanza l’accordo, che fu poi perfezionato nell’ottobre del 1939, prevedeva da un lato il rimpatrio di tutti i cittadini germanici presenti in provincia di Bolzano (alcune migliaia) e dava agli altoatesini di lingua tedesca (e ladina) la possibilità di scegliere tra la cittadinanza germanica e quella italiana. L’opzione per la Germania avrebbe comportato il trasferimento oltre Brennero dove, dal 1938, con l’annessione dell’Austria, cominciava il territorio del Terzo Reich. L’opzione interessò anche, in piccola parte, le minoranze linguistiche del Trentino, del Veneto e del Friuli.

Gli altoatesini ebbero tempo fino al 31 dicembre per fare la loro scelta. Come mai circa l’85 per cento degli aventi diritto optò per una nuova vita oltre confine, è un interrogativo che può avere diverse spiegazioni. Innanzitutto i sudtirolesi si trovarono di fronte al bivio tra l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler (ovviamente senza tutte le conoscenze del senno di poi). Era noto il fatto che la Germania fosse un paese impegnato in una guerra di aggressione (dal 1° settembre), ma certamente non si poteva conoscere la sorte che, di lì a poco, sarebbe toccata agli ebrei e a molti altri. Erano invece bene informati, per esperienza diretta, della politica dell’Italia fascista nei confronti delle minoranze (linguistiche e non solo). Quasi due decenni di oppressione culturale e di snazionalizzazione avevano gravemente compromesso il rapporto tra il regno d’Italia e i suoi nuovi sudditi. Che molti di loro scegliessero uno Stato che avrebbe loro garantito l’uso della lingua materna, non deve stupire. Ciò che pesò di più, in quei mesi di ottanta anni fa, fu però l’efficacia della propaganda nazista (di fronte invece all’inettitudine comunicativa del governo di Roma). Si diffuse la convinzione, ad esempio, che al cospetto di un voto massiccio per la Germania, Hitler avrebbe annesso l’Alto Adige come aveva fatto con i Sudeti. Oppure che là, oltre confine, sarebbe stato messo a disposizione un territorio tale e quale al Sudtirolo. O ancora che chi fosse restato nella Heimat sarebbe poi stato trasferito in Sicilia.

È sorprendente come, ieri e oggi, popolazioni intere possano perdere il senso della realtà e si facciano incantare dal pifferaio magico di turno. Chi non si fece ingannare affatto fu l’arcivescovo di Trento Celestino Endrici. Ne parla diffusamente mons. Bressan nel suo libro “Celestino Endrici contro il Reich”. Endrici, come gran parte del clero e dei laici consapevolmente impegnati nell’Azione Cattolica, aveva colto da subito i pericoli insiti nell’ideologia nazionalsocialista. Il mito della razza, l’inconciliabilità col cristianesimo, la disumanità. Tutte cose che gran parte del mondo avrebbe riconosciuto solamente di fronte all’orrore di Auschwitz. Endrici non si stancò, fino alla morte che lo colse nell’ottobre del 1940, di denunciare i deliri hitleriani, di fornire ai suoi preti gli strumenti per una pastorale della consapevolezza, di incoraggiare coloro che si battevano contro l’opzione (tra questi il beato Josef Mayr-Nusser), di tenere informato il papa, di predisporre, comunque fosse andata, la cura pastorale anche per coloro che di lì a poco avrebbero cominciato a varcare il confine.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina