La serie su Totti, un duello per Roma

Pietro Castellitto e Gianmarco Tognazzi sono Francesco Totti e Luciano Spalletti, nel confronto-scontro in “Speravo de morì prima”

Chissà se la terza puntata si aprirà con un duello all’alba, davanti al saloon, con Francesco Totti e Luciano Spalletti separati da 10 passi e dalle canne delle loro pistole pronte a sparare. Certo è che i primi due episodi di “Speravo de morì prima”, la serie prodotta da Sky per raccontare la figura dell’ex giocatore simbolo della Roma, nonostante l’ambientazione calcistica, si sviluppano su forti tinte western.

Dalle sonorità della colonna sonora all’impostazione della sceneggiatura, tutto l’intreccio finora porta allo scontro tra i due galli nel pollaio giallorosso che ha caratterizzato le stagioni 2015-16 e 2016-17. Intorno, c’è il contesto famigliare e il rapporto di Totti con la capitale, di cui se da un lato ne è indiscutibilmente l’ultimo imperatore, dall’altro si ritrova ostaggio.

Nelle intenzioni, in una sorta di “The last Dance” molto all’italiana, per chi ha visto la serie evento sull’ultima stagione di Michael Jordan, le 6 puntate si incentrano sulla parte finale della carriera del campione, basandosi su “Un capitano”, l’autobiografia di Totti scritta con Paolo Condò. Il risultato, stando a quanto visto nell’esordio televisivo, è quanto di più lontano dal prodotto Netflix, che metteva al centro la personalità, epica e controversa, del mito dell’NBA: in “Speravo de morì prima”, Francesco Totti è il “Pupone” che tutti conosciamo, grande campione sul campo, ragazzo come tanti fuori dal terreno di gioco, ingenuo, simpatico e testardo, figlio affettuoso e padre un po’ ribelle.

Arrivato quel momento della carriera in cui non deve più dimostrare nulla a nessuno, Totti, interpretato da Pietro Castellitto, accoglie il ritorno dell’allenatore Spalletti – un magistrale Gianmarco Tognazzi – con fiducia, ma ben presto scoprirà che il rapporto con il tecnico toscano non è più quello costruito nella precedente esperienza assieme: ora il capitano è un giocatore come tutti gli altri, e dovrà fare i conti con la panchina e con le contestazioni di alcuni tifosi, amplificati dal tam tam delle radio romane, ma la città è dalla sua parte, e glielo dimostrerà con un bagno di folla allo stadio Olimpico.

Senza dare troppo spazio al calcio, relegate a pochi attimi le immagini di repertorio, il racconto si sviluppa tra episodi, anche comici, come quello del detenuto che al momento del rilascio chiede di poter restare in carcere 10 giorni in più per incontrare il suo mito in visita, ed il racconto in prima persona della stagione sportiva.

Castellitto è abile a dare voce, parlata romanesca e congiuntivi sbagliati compresi, ai pensieri di un Totti a volte umile e a volte spaccone. Pur senza esserne il sosia, l’attore figlio d’arte è un Totti più che credibile grazie alla sua espressività, ed è il fiore all’occhiello di un ottimo cast, capace di sopperire molto bene ad una sceneggiatura che va poco oltre il banale: oltre a Tognazzi che deve essersi molto divertito a studiare le conferenze stampa di Spalletti, promossa a pieni voti anche Greta Scarano, nei panni di una Ilary Blasi davvero verosimigliante, nel ruolo di capofamiglia. Punti deboli, la necessaria semplificazione dei fatti, la banalizzazione dei rapporti, tipica di molta parte della fiction nostrana, la volgarità di certi dialoghi, mentre le riduzioni macchiettistiche e i toni comici, se fanno storcere il naso al fan, rendono la rappresentazione più fruibile al grande pubblico.

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