La tenerezza e l’uomo con l’ermellino

Il film premiato a Venezia mostra un'aula di tribunale trasformata in un ambiente di relazioni autentiche

Michel Racine è l'inappuntabile presidente della Corte d'Assise di una cittadina francese, temuto e al tempo stesso deriso dai colleghi oltre a essere soprannominato "il giudice a due cifre" perché le sue condanne non sono mai inferiori a dieci anni. Ma durante l'ultimo processo, che vede un giovane padre accusato di aver ucciso la figlia di sette mesi, un incontro cambia lo schema della sua vita. Tra i membri della giuria popolare, infatti, vi è una donna, Ditte Lorensen – Coteret, dottoressa danese che anni prima aveva rianimato e curato Racine dopo un grave incidente. Nel rivederla, l'uomo, segretamente innamorato di lei, prova ancora gli stessi sentimenti e decide di riavvicinarla.

Interpretato da un Fabrice Luchini capace di restituire con finezza le sfumature della personalità del protagonista, "La corte", commedia scritta e diretta da Christian Vincent, ha vinto il Premio per la migliore sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia 2015 mentre lo stesso Luchini si è aggiudicato la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile e Sidse Babett Knudsen il César per la miglior attrice non protagonista.

Temporalmente circoscritto ai tre giorni in cui si svolge la causa, la pellicola è caratterizzata dall'alternanza tra lo "spettacolo" che si svolge nell'aula del tribunale, come poi lo definirà la figlia di Ditte che assisterà ad una seduta, curiosa di vedere la madre "entrare in scena", e la vicenda personale dalla quale Racine si lascerà interiormente coinvolgere senza far trapelare nulla nel luogo che è per eccellenza la casa dell'imparzialità. "Forse non sapremo mai la verità, ma lo scopo della giustizia non è questo, è riaffermare i principi della legge", spiega infatti Racine ai giurati durante una pausa.

La corte è simile ad un palcoscenico sul quale si muovono attori con ruoli precisi, dove il giudice mostra la sicurezza che non ha quando, smessa la toga d’ermellino – l’Hermine del titolo originale -, incontra Ditte alla tavola calda vicino al tribunale. Abituato ad applicare le regole della legge, si trova impacciato di fronte alla legge, imprevedibile, dell’amore ma i due – ironico e sensibile lui, solare lei – consumano dialoghi, sguardi e silenzi riannodando i fili di un sentimento non dimenticato. “Ho pensato alla lista delle cose che contano nella vita e la rendono bella: il suo viso chino sul mio quando mi sono svegliato in sala di rianimazione è la perfezione della vita”, le confida Racine. Il processo si conclude con un’assoluzione, ma il vero colpo di scena è un altro: il giudice ritrova l’amore, cucendo i tasselli che confezionano una pellicola raffinata ed elegante, come l’abito indossato dalla donna durante la cena alla quale, una volta guarito, l’aveva invitata, e che poi Ditte vestirà di nuovo in aula, comunicando silenziosamente il suo essersi lasciata conquistare dalla tenerezza e dall’amore dell’uomo.

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