La tragedia in Marmolada: così la memoria è passata nei social, come un flusso frammentato e polemico

La memoria delle tragedie ha i contorni in bianco e nero, i fasci di luce nella notte, le sfumature castigate del grigio indefinito dello scatto a distanza. Non siamo ancora abituati alle tragedie con le immagini a colori, ad alta definizione, centinaia di scatti che non completano la notizia, ma la accompagnano, la anticipano. Arrivano sul telefonino, rilanciate nella messaggistica, talvolta senza indicazioni. Un flusso continuo di istantanee muove la ruota del mulino che macina tutto in tempo reale: interrogativi ed emozioni, stupore e sgomento.

Domenica 3 luglio pomeriggio, giornata estiva con temperature africane. Con un post su Facebook, cosa non richiesta ad un settimanale che sulla cronaca ha un passo diverso rispetto ai quotidiani, Vita Trentina racconta cosa è successo, cosa sta succedendo in Marmolada: il distacco del seracco, le cordate di alpinisti portate via in un amen, l’intervento dei soccorsi, il timore che il bilancio possa essere terribile. A metà pomeriggio tutti i social raccontano già tutto: ci sono i video del crollo, ci sono gli elicotteri che continuano a volteggiare, ci sono le immagini con il marchio del soccorso alpino che, con le riprese effettuate in volo, portano sui cellulari le dimensioni della tragedia.

Gli occhi fissi su Instagram, gli amici e i familiari di Davide per due giorni non sono riusciti a staccarsi da quel post che è stato motivo di disperazione e di speranza: “Discesa dal ghiacciaio! Sani e salvi anche sto giro”. Foto a colori, il cielo e il ghiacciaio. Domenica 3 luglio, ore 13.39, appena un minuto prima del grande boato che ha travolto tutto.

Chi, domenica, si trovava al lago, al mare, su sentieri di montagna alla ricerca di un minimo di refrigerio, solo due ore dopo aveva già avuto la possibilità di sapere tutto quel che era successo: le immagini, i racconti, le testimonianze dei sopravvissuti. Smartphone e social hanno cancellato i tempi di attesa, non c’è sosta, le pagine si rinnovano continuamente. Le emittenti televisive pubblicano le immagini sui social e, sui loro siti, raccontano i fatti come fossero dei giornali; i quotidiani aggiornano in tempo reale gli articoli online e moltiplicano la pubblicazioni di video come fossero delle televisioni. Sino a qualche anno fa tutto questo era impensabile. Una diretta tv richiedeva lo spostamento di grandi mezzi, quelli con le enormi parabole sul tetto; le uniche telecamere erano quelle professionali. Oggi, invece, si devono cercare – rapidamente – le immagini catturate dagli smartphone, video che in pochi istanti cominciano a rimbalzare su WhatsApp e che poi non finiscono solo sui social, ma anche nei telegiornali. Tutto corre, tutto si accavalla, tutto diventa subito vecchio nella spasmodica ricerca di qualcosa di nuovo. La guerra in Ucraina ci ha già dimostrato come la bulimia delle immagini rischia di portare ad una banalizzazione della tragedia.

La memoria digitale ci consegna, peraltro, fotografie di una quotidianità gioiosa che, per chi ama la montagna, sono sempre dominate dall’azzurro del cielo e dal bianco della neve. Sono il ricordo, raccontano le storie, superano la cronaca e portano – finalmente – alla pietas. Il selfie di Filippo, l’ultimo urlo di gioia con il ghiaccio della Marmolada sullo sfondo; il sorriso di Liliana che cancella dal volto la fatica della salita; l’abbraccio di Erica e Davide, coppia nella vita e la grande passione per l’alta quota. Immagini che scorrono sullo schermo tra decine di post che si occupano anche di altro: una narrazione frammentata, un tocco e via, la sensazione di stordimento di quando si scende dalla giostra. Con l’amaro in bocca che diventa tristezza quando si entra nel recinto dei commenti social, dove uno vale uno e ognuno è autorizzato a mettersi in cattedra per pronunciare sentenze. I leoni della tastiera possono scrivere senza pensare, indicando responsabilità, sentenziando senza appello. I virologi improvvisati, divenuti con la guerra esperti in geopolitica, ora d’incanto sono profondi conoscitori della montagna e del ghiaccio. E fanno ricordare le parole di Umberto Eco, dello stupido che una volta, quando apriva bocca, veniva allontanato dal bar del paese e che oggi, invece, senza filtro e senza remore, può esprimersi sui social al pari di tutti gli altri.

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