La vite? Disordinata e disobbediente

“Nel nome del padre, della vite e del vino” protagonista della serata del 12 novembre a Tenna

È arrivato settembre, l’ultimo sole estivo accompagna a giusta maturazione l’uva. Pronti via, si vendemmia. Le campagne ed i paesi sono in fermento, i vigneti mostrano tutto il loro splendore. Le viti, come soldatini, appaiono ordinate e ben curate lungo i filari a Pergola o Guyot. Eppure la vite per sua natura non sarebbe così: un po’ disordinata ed incosciente, un po’ curiosa e disobbediente. Lo sanno bene i vignaioli di oggi e di ieri. Vitis vinifera il cui nome deriva da viere – legare, è un arbusto rampicante, una specie di liana dallo sviluppo esuberante. Alle nostre latitudini gli ambienti naturali della vite selvatica sono al limitare del bosco dove si arrampica sugli alberi per raggiungere il più possibile la luce.

Gli etruschi sono stati i primi in Italia ad introdurre una modalità di coltivazione definita in seguito della “vite maritata”. Dal I secolo d.C., compare nella letteratura latina la metafora poetica della vite e dell’albero come simbolo dell’amore indissolubile. Le viti infatti per molti secoli sono state allevate su olmi, aceri, bagolari, ontani, frassini, pioppi e talvolta piante da frutto. In origine non erano potate per cui sviluppavano tralci lunghissimi creando festoni da un albero all’altro. La vite maritata continuò a far parte del paesaggio agreste italiano anche dopo l’epoca classica. Scompare nel Novecento dopo 3.000 anni di storia lasciando spazio alle moderne tecniche di coltivazione per favorire la migliore espressione qualitativa dei vitigni. La storia della vite, dell’uva e del vino s’intreccia profondamente in tutte le culture del mondo mediterraneo, in Italia trova le sue condizioni pedoclimatiche ideali. Ciò vale anche per la viticoltura trentina la cui storia risale ad epoche assai remote, probabilmente di importazione etrusca anch’essa, celebrata poi nell’epoca romana.

Nel lunghissimo periodo da allora trascorso non è mai scomparsa superando le crisi dovute alla fillossera (con introduzione dei vitigni a piede americano), ed alla comparsa delle malattie crittogamiche quali oidio e peronospora. Ad inizio Novecento erano numerose le varietà di uva nera e bianca coltivate in Trentino. Erano rappresentate da varietà locali quali Teroldego, Schiava, Negrara, Marzemino, Rossara, Groppello, Vernaccia, Nosiola, Garganega. Via via nel corso dei decenni sono state introdotte nuove varietà e selezioni quali Merlot, Pinot Grigio e Nero, Chardonnay, Cabernet e tante altre ancora. Giù il cappello per quell’uomo o quella donna che nell’antichità probabilmente per caso dimenticò dei grappoli d’uva in un recipiente, ed altrettanto per caso a distanza di tempo ebbe il coraggio di assaggiare quella bevanda fermentata dal gusto e dagli effetti sorprendenti.

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