L’ascolto, stile di vita

At 13,14.43-52

Salmo 99 (100)

Ap 7,9.14b-17

Gv 10,27-30

Sono convinto che ascoltare è il modo vero di amare? Molte persone parlano senza ascoltare: nella mia parrocchia ci educhiamo a un ascolto rispettoso e profondo di Dio e degli altri?

Il brano evangelico di questa domenica ci porta indietro nel tempo, ci fa gustare immagini passate. Racconta di un pastore e delle sue pecore, con le quali ha un rapporto che potremmo chiamare personale, perchè le conosce una ad una, le chiama per nome ed esse conoscono la sua voce. Si descrive un mondo diverso, un modo di vivere lento, ritmato secondo i cicli della natura. A noi dunque può apparire difficile comprendere questo linguaggio di Gesù. Solo il pensare di essere paragonati a un gregge o a delle pecore ci mette di malumore e forse ci fa anche arrabbiare. Questo modo di parlare dunque rischia di essere anacronistico e pertanto di venire frainteso. Ma per il linguaggio simbolico di Giovanni, pecora significa persona, anzi indica il discepolo, colui che ha scelto di seguire Gesù.

L’evangelista spiega subito che il discepolo è prima di tutto uno che si mette in ascolto. Nelle pagine della Bibbia tante volte risuona l’invito all’ascolto: potremmo dire che tutto nasce da lì. Shemà Israel: ascolta Israele (Dt 6,4-5) che Gesù indica come «il primo e più grande comandamento» (Mc 12,29). Salomone, appena eletto re, chiede a Dio «un cuore che ascolta» (1Re 3,9). Ascoltare Gesù non significa prima di tutto obbedire, ma mettersi al suo seguito, dargli la propria adesione, non verbale, né di principio, ma di condotta e di vita, impegnandosi con lui senza riserve per il bene degli uomini. E il dono di Gesù ai suoi discepoli è la vita definitiva, quella vita che «nessuno può strappare dalla mano del Padre».

Dobbiamo ammettere che per noi non è facile l’ascolto; del nostro DNA fa parte piuttosto il parlare: parlare a Dio, parlare di Dio. Quando ad esempio insegniamo le preghiere ai bambini della catechesi, ci viene spontaneo raccomandare di parlare a Dio, perché lui ci ascolta. In realtà la preghiera nasce da un’altra prospettiva e un altro atteggiamento: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,9). E cioè noi dovremmo imparare a fare silenzio e «ascoltare il profondo del cuore… perché noi siamo abitati da una Parola, quella di Dio, che è più profonda del nostro cuore». Mi piace pensare che i cristiani siano il popolo dell’ascolto. Magari sapessimo ascoltare anziché rincorrere visioni in giro per il mondo, ricordandoci che «Dio nessuno lo ha mai visto» (Gv,1,18)! Quante volte si sente lamentarsi perché nessuno ascolta, perché tutti vogliono parlare. E quante volte la Parola di Dio è sommersa da voci di uomini. Anche nella chiesa voci e parole se ne sentono tante, ma è un’ardua scommessa trovare qualcuno che ascolti. Eppure, soprattutto in questi giorni, amare è ascoltare. Il pastore (vale per i vescovi, per i preti e per tutti) non è padrone. Deve porsi accanto al gregge e dare sicurezza. In questo senso vivere la fede cristiana diventa un’avventura appassionata nel difendere la dignità dell’essere umano come Gesù l’ha difesa, nell’avvicinarsi agli indifesi e agli abbandonati come lui si è avvicinato, nel confidare nel Padre come lui ha confidato. Essere pastori vuol dire, come ci ricorda Papa Francesco, mettere in gioco la propria pelle e il proprio cuore, per non essere trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore". Pastore e gregge, nella chiesa camminano insieme e insieme incontrano Dio, Padre che protegge e salva.

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