“Matares”. Lei ivoriana, lui algerino: soli ma amici

Nel 1999 aveva girato in Trentino Mirka, apologo sugli stupri etnici nei Balcani, protagonista un bambino di 10 anni rifiutato e perseguitato a causa della sua origine. Vent’anni dopo Rachid Benhadj, regista e pittore a cavallo tra Occidente e Medio Oriente, torna nella natia Algeria per raccontare una nuova storia con al centro dei bambini e un mondo adulto incapace di accoglienza e accudimento.

Questa volta il racconto trae ispirazione dal respingimento nel deserto, senza acqua né cibo, di 13.000 africani arrivati in due anni sulla costa algerina del Mediterraneo inseguendo il sogno di raggiungere l’Italia e l’Europa. Tra loro molte donne con bambini in cerca di ricongiungersi ai mariti già emigrati in Italia… Benhadj punta l’obiettivo su una bambina di 8 anni, di nome Mona, arrivata dalla Costa d’Avorio insieme alla madre, e la segue nei suoi andirivieni tra il campo clandestino e l’area archeologica di Tipasa dove vende ai turisti le sue ghirlande di fiori e dove incontra Saïd, più o meno coetaneo, algerino. All’inizio tra i due è scontro – “Non puoi vendere i tuoi fiori qui, perché sei negra e perché lo dico io!” – ma poi è complicità e amicizia, nonostante la pelle, nonostante il sesso, nonostante la religione, lei cattolica lui islamico. I due, infatti, sono specchio di un comune stato di abbandono da parte dei genitori e di sfruttamento e abuso da parte di sedicenti zii – africani o algerini cambia poco.

Come nel film precedente non c’è una narrazione vera e propria. C’è il ritratto poetico di una vita e di un’aspirazione ad essere che va in frantumi in un luogo splendido per natura e cultura. Fondale privilegiato della storia è il sito archeologico della città romana a picco sul mare, e in particolare la necropoli di Matares che dà il titolo al film. È il cimitero riservato ai bambini dei dignitari romani, “che davano molta importanza ai loro figli, anche dopo la morte” – come spiega la guida turistica. “Qui capisco ciò che chiamiamo gloria – ha scritto Albert Camus del luogo – il diritto ad amare senza misura”. In quel cimitero, dentro un sepolcro, la piccola ivoriana ha realizzato un proprio santuario dedicato a quelli che non ce l’hanno fatta, ma anche a Gesù a cui affida i propri tormenti, i propri desideri, le proprie paure. Ma la preghiera pare inascoltata; il Dio a cui si rivolge non sembra il “Padre nostro”, ma quello che ha cacciato Adamo e Eva dall’Eden e ancora non li ha riammessi.

O forse si nasconde dietro il piccolo Saïd che patisce pene analoghe a quelle di Mona, che va a cercarla senza più trovarla, e allora siede sull’arco di una rovina a fare aeroplanini delle banconote che avrebbero dovuto garantirle il viaggio. E raccoglie il caleidoscopio dentro cui guardava la bambina. Una bambina che camminava sola, cercando la luce e sfiorando il cielo. Come troppi ormai sulle sponde del Mediterraneo…

Il film è stato trasmesso da Tv2000 il 27 settembre scorso in occasione della Giornata del Migrante, ma è disponibile on demand sulle piattaforme digitali, tra cui Vativision, e in dvd.

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