L’uomo che rivela Dio

Bar 5,1-9;

Fil 1,4-6.8-11 ;

Lc 3,4.6

Capita talvolta di sentire parlare di Gesù, come fosse un extraterrestre, o uno che su questa terra c’è passato di striscio, perché il posto che gli è proprio è il cielo. E leggendo questo brano di Luca (3,1-6), in questa seconda domenica d’avvento, si può restare scandalizzati. Perché qui Gesù appare totalmente uomo, impastato delle vicende di ogni uomo e di ogni donna dentro lo scorrere dei giorni. Gesù è uno di noi, che vive la nostra storia con i suoi drammi e le sue contraddizioni. Il centro del cristianesimo non è Dio, ma Gesù; è un uomo che ci dà a conoscere, ci rivela Dio. «Nell’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio Cesare…» e poi a seguire una serie di nomi eccellenti del mondo politico del tempo: Ponzio Pilato, Erode, Filippo, Lisania, fino ai nomi illustri del mondo religioso, i sommi sacerdoti Anna e Caifa; nomi che ci ricordano il degrado politico e religioso.

Quello che traccia Luca è un quadro deprimente. Dipinge anche la nostra situazione, dove tornano alla ribalta spettri del passato e l’uomo diventa (o rimane?) lupo per l’altro uomo. In quella e in questa situazione di degrado, la speranza viene dal deserto ((cf, Lc.3,1-2). «La storia della salvezza comincia con un nuovo inizio in luoghi marginali, periferici, desertici». (L.Manicardi).

Lì Giovanni diventa profeta: «La Parola di Dio scese su Giovanni» e il lavoro operato dalla Parola su di lui, lo renderà capace poi di chiedere conversione e di indicare agli altri la via per arrivare a vedere la salvezza di Dio. Giovanni era di stirpe sacerdotale, ma Dio non si rivela a lui nel tempio. La parola di Dio «venne… nel deserto» e noi, incapaci di capire, potremmo subito dire, che la storia è fatta di ben altro e che altri sono i fatti che la determinano. Perchè lo Spirito dovrebbe scendere su un uomo poco conosciuto nel deserto?

Noi siamo abituati a vedere gli inizi dei grandi cambiamenti in fatti vistosi, in nomi famosi, dietro scenari appariscenti. E invece tutto comincia dalla scelta di un uomo di ritirarsi nel deserto. Un modo efficace per dirci che ogni cambiamento profondo, radicale, rivoluzionario è opera di Dio, e insieme nostra. A noi tocca tracciare nel mondo strade, dove a nessuno sia negata la dignità di essere uomo, colmare i burroni della separazione e dell’indifferenza perché chi esclude è lontano e s’allontana da Dio. Questa è la conversione. Il Vangelo oggi ci dice che la vera religione non è fuori della storia, non è solo spirituale e il vero credente non è colui che si ritira in un mondo di preghiere e di riti, per alzare gli occhi all’Eterno e distoglierli da una terra martoriata. Nel piccolo gruppo del Vangelo della mia comunità, s’ è posta la domanda: «cosa si potrebbe fare per incontrarsi con Dio?»

E ancora è tornata l’immagine del deserto, il luogo dove Dio chiama Mosè, dove attira Israele per poter parlarle di nuovo (Os.2,16 – 18), dove Gesù è tentato ed entra in piena comunione col Padre. «Il deserto è il silenzio che ci permette di percepire i messaggi di Dio.» Per la gente comune, che s’affatica nel lavoro, nella edificazione di una casa «fondata sulla roccia», il deserto diventa qualcosa che si deve costruire e custodire, più che un luogo fisico da trovare. E dunque non è impossibile per nessuno che voglia porre attenzione alla voce quieta di Dio.

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