Ma noi… sappiamo godere le vita?

I lettura: Isaia 5,1-7;

II lettura: Filippesi 4,6-9;

Vangelo: Matteo 21,33-43

È tempo di raccolta. Magra per certuni, viste le condizioni meteo che hanno caratterizzato questa stagione estiva piuttosto anomala. Anche il vangelo sembra adattarsi a questo clima con la parabola che va in scena la prossima domenica. Ci presenta dei coltivatori che non erano proprietari ma fittavoli; il padrone era un altro e la vigna ce l’avevano in affitto. Anche se la parabola è di per sé una storia inventata, qui il finale è piuttosto amaro: il padrone toglie la vigna a quei contadini, li fa addirittura morire, e affida la vigna ad altri che ritiene più onesti. Perché? Cos’avevano fatto di male? Erano stati sleali, perfino assassini: alla fine si accordarono per eliminare anche il figlio del padrone, inviato a riscuotere il dovuto, pensando così di potergli subentrare come proprietari a tutti gli effetti. Quella vigna da lavorare era stata loro affidata: pretesero di farne una proprietà personale. Usurpatori, insomma. Come chi, vivendo in affitto, s’illudesse che basta eliminare il padrone di casa per diventare lui stesso proprietario.

Ma noi cosa c’entriamo con una storia di tal genere?

Se Gesù ce la racconta, vuol dire che poco o tanto ci riguarda. In effetti, ogni cristiano sa (o dovrebbe sapere) che la sua vita in questo mondo è opera di Dio: è Dio che ci ha pensati e ci ha chiamato all’esistenza. Per quale motivo? Grazia. Solo grazia: l’ha fatto perché ci ama. E ognuno, in quanto cristiano, sa anche (o dovrebbe sapere) che vivere, per noi, vuol dire sostanzialmente collaborare, dare una mano a Dio, perché questo mondo diventi… il suo Regno. Se l’espressione è troppo altisonante, possiamo renderla così: siamo al mondo per far sì che (per quanto dipende da noi) le cose vadano meno peggio di come vanno, anzi, decisamente meglio se possibile.

Solo che poi, a lato pratico, accade che più d’uno trovi comodo lasciar da parte questo motivo, ripiegarsi su se stesso e dedicarsi unicamente ai suoi interessi: si costruisce così il suo mondo, il suo guscio, da difendere, consolidare, rendere sempre più confortevole. Al che, l’unica sua preoccupazione è quella di spremere dal mondo che ha attorno, dalla vita, dalle situazioni, quanto più è possibile, a suo esclusivo vantaggio. Negli affari sarà attento solo a non farsi imbrogliare (o sorprendere, se è lui stesso disonesto); sul lavoro o nei rapporti sociali farà di tutto per non rimetterci, anzi, per guadagnarne piuttosto. Che se poi questo tale si mette in politica, Dio ce ne liberi! Persone di tal genere sì, sanno anche dare (perché bisogna pur offrire un’immagine generosa di se stessi!), ma è un dare con l’assicurazione che il contraccambio che ne deriva varrà molto più di ciò che si è dato. (Se poi non ci fosse nessun contraccambio di rilievo, allora il ritornello che risuona è questo: “E chi me lo fa fare?”).

Sì, purtroppo ci sono cristiani che vivono da usurpatori. Individui che trasformano l’affido in proprietà. Ecco la nuova edizione della parabola della vigna che questa domenica il vangelo ci presenta. Le parabole non sono mai pezzi d’antiquariato, come si può notare: son sempre vicende che ritornano, con attori diversi, con scenari differenti e sempre aggiornati. Non passano mai di moda, non diventano mai ciarpame da soffitta.

Dio ha fatto questo mondo, ma non l’ha voluto finito e perfetto fin dall’inizio. È un progetto tutt’ora in atto. Ma anziché realizzarlo da solo, preferisce condividerlo con quanti accettano di collaborare insieme a lui. Regno di Dio si chiama questo progetto. Questo mese di ottobre, da sempre dedicato alle missioni, ce lo ricorda in modo martellante: cos’altro sono le missioni – e i missionari – se non questa impresa divina e umana che collabora con Dio in quel progetto?

Ciò vuol dire che non ci è lecito ridurre la nostra vita a proprietà esclusivamente personale. Non possiamo declassare le nostre famiglie a mondi chiusi e autosufficienti: o stanno al passo col progetto di Dio, oppure si riducono a convivenze senza sugo e senza frutto.

E la nostra vita di tutti i giorni? Fatiche e preoccupazioni, lavoro e quant’altro: è troppo poco affrontare tutto ciò con l’unica motivazione dello stipendio o della pensione (se arriva!). Il vangelo raccomanda la furbizia, che consiste nell’armonizzare la vita con il progetto di Dio, vale a dire: con il vangelo. Solo così si evita la svalutazione! Del resto, non è per questo che Dio ci ha inventati, amati e creati? Se l’aspetta Dio questa collaborazione, anche perché ha fatto molto per noi. “Cosa dovevo fare ancora per la mia vigna che io non abbia fatto?” – così fa dire al profeta della prima lettura. Quella vigna è la vita che ci ha affidato. La si realizza molto meglio – e con soddisfazione! – vivendola nella collaborazione con lui, anziché nella presunzione di possederla da padroni a proprio esclusivo vantaggio. In fondo, chi è che sa davvero godere la vita? Chi l’accoglie come dono ogni mattina. Il fascino di ogni dono sta nel rimanere dono. Sempre.

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