Mettiamoci alla prova con l’innesto

Passeggiando nel bosco vi è mai capitato di notare rami o tronchi singoli che per il prolungato contatto tra loro si sono saldati diventando un tutt’uno e creando delle forme vegetali originali? Provate a prestare attenzione: in particolare nei boschi di mezza montagna scoprirete faggi, aceri campestri, frassini, carpini, edere e molte altre piante ancora protagoniste di questo curioso gioco di fusione di tessuti legnosi. In tempi remoti sicuramente uomini attenti avranno osservato questi fenomeni, ne avranno constatato l’originalità, e probabilmente si saranno domandati se potevano trarne vantaggio.

Nasce forse così una pratica botanica che rivoluzionerà i sistemi di propagazione delle piante coltivate di tutto il mondo: l’innesto (“calmo” in dialetto trentino). Pare che i Cinesi conoscessero questa tecnica 7-8.000 anni fa, e poi Fenici, Egizi e Sumeri. Riferimenti chiari sono riportati negli antichi testi del Talmud (testo sacro ebraico). Aristotele (384-322 a.C.) ne menziona l’utilizzo. San Paolo, in una lettera ai Romani, parla di piante di olivo innestate.

Dagli agronomi greci e contadini dell’antica Roma, l’innesto è una pratica che è arrivata fino ai giorni nostri quasi immutata ed oggi diffusissima in ambito vivaistico come tecnica di riproduzione agamica (non da seme). Per i non addetti ai lavori è utile sapere che l’innesto è utilizzato nella stragrande maggioranza delle piante da frutto, viti, alberi ornamentali ed ora anche alcune tipologie di ortaggio (in particolare solanacee e cucurbitacee). Con questa operazione si uniscono tra loro due porzioni di piante diverse: il soggetto o portainnesto fornisce l’apparato radicale mentre il nesto, o calmo o marza fornisce la parte aerea.

La saldatura tra le due parti e la cicatrizzazione del taglio avviene se il “cambio” dell’una e dell’altra parte di pianta combaciano perfettamente. Per chi non si ricordasse il cambio è un meristema vegetale che genera verso l’esterno la corteccia e verso l’interno il legno.

Affinché un innesto abbia successo, sia duratura nel tempo e non vi sia rigetto, è necessario che le due piante utilizzate siano “affini”, cioè più vicine possibili da un punto di vista botanico. Vi è più probabilità di riuscita se i due individui appartengono alla stessa specie o quantomeno allo stesso genere. Ma esistono molte eccezioni. Ad esempio specie diverse appartenenti alla stessa famiglia possono essere compatibili (cotogno con pero, magaleppo con ciliegio, biancospino con pero e via dicendo). Le tecniche di esecuzione di alcuni tipi di innesto sono molto semplici: con un po’ di pazienza, di impegno ed un minimo di attrezzatura possono essere apprese da chiunque. I mesi di febbraio, marzo ed aprile sono particolarmente adatti per mettersi alla prova.

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