Nella Napoli di Favino lo spettatore si perde

Continua la stagione favorevole di Pierfrancesco Favino, protagonista del film “Nostalgia”. Interpreta Felice Lasco, un imprenditore che, trasferitosi da giovanissimo prima in Libano e poi in Egitto, torna a casa per assistere l’anziana madre. La permanenza a Napoli riporta alla sua mente le tante scorribande che fin da ragazzo ha fatto insieme a quello che era l’amico Oreste. Stando con l’anziana riscopre il rione Sanità, uguale a come l’aveva lasciato, conosce il parroco don Luigi (interpretato da Francesco Di Leva) e un vecchio amico della madre. Le giornate passano e, una volta morta la madre, inizia la ricerca del vecchio amico diventato un temibilissimo boss della camorra: Felice, infatti, non vuole lasciare irrisolta una questione rimasta aperta per quarant’anni.

Un ottimo film, questo di Martone, su cui si possono condividere alcune riflessioni. La superlativa interpretazione di Favino ci consegna non solamente un personaggio credibile, ma soprattutto conferma le sue grandi doti recitative. Lo stesso si può dire di don Luigi: notevole performance in un ruolo fondamentale e non semplice. Un aspetto che non permette di apprezzare sufficientemente il lungometraggio nel suo insieme è la forte connotazione napoletana, tanto nei luoghi quanto negli accenti. Se questo consente agli attori di muoversi a loro agio sulla scena, mette però lo spettatore nella condizione di comprendere solo una parte di quanto detto. Si aggiunga a ciò anche il senso di spaesamento in tutti gli spostamenti portati sulla scena. Vedere il film senza essere mai stati a Napoli o conoscendo poco del contesto socio-culturale restituisce l’impressione di aver visto qualcosa di bello, senza però comprendere fino in fondo il perché.

Il titolo, omonimo del romanzo di Ermanno Rea da cui la sceneggiatura è tratta, spiega fin da subito il sentimento prevalente nel protagonista. Di Felice vediamo molti ricordi (portati sullo schermo nel formato 4:3) e ne percepiamo il forte desiderio di tornare a stabilirsi in quella che considera la sua città, ma lo spettatore resta “escluso” da questo sentimento. Vede molto del passato e del presente dei due amici di lunga data, ma non può prenderne parte. Fino all’ultimo fotogramma, ogni cosa è loro e di nessun altro.

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