“Nina dei Lupi”, un rinnovato legame con la natura

È stato presentato a Trento nei giorni scorsi al cinema Modena il film Nina dei Lupi, diretto da Antonio Pisu e tratto dal romanzo omonimo di Alessandro Bertante (Marsilio, 2011).

Realizzato con il contributo della Film Commission Provinciale, il film è stato interamente girato tra Ala e i boschi della Vallarsa, ed è stato presentato nelle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno. Si avvale di un solido cast, con Sergio Rubini che infonde il proprio istrionismo ambiguo e seducente alla spietatezza del brigante Fosco, Cesare Bocci quasi irriconoscibile nei panni del padre montanaro di Nina chiuso nel dolore, Sandra Ceccarelli nel ruolo centrale di Diana. E poi c’è lei, la nuova leva, Sara Ciocca, classe 2008, che riesce a reggere con intensità il ruolo tormentato di strega salvifica.

Bella l’ambientazione, tanto quella del borgo isolato come quella della montagna boscosa, e buona anche la tenuta emotiva del conflitto. Non altrettanto, purtroppo, la dimensione fantasy di questo dramma apocalittico che mette in scena lo scontro tra una comunità montana sopravvissuta a una catastrofe globale grazie al proprio isolamento e alla propria coesione, e il mondo esterno, del tutto disumanizzato. Si intuisce l’attualità di tale orizzonte apocalittico, che risulta però semplificato e messo fuori racconto in un’epigrafe con la definizione di tempesta solare e dei suoi effetti sulle apparecchiature elettriche. Si coglie l’importanza della forza che viene da un rinnovato legame profondo con la natura – madre-terra potente, distruttrice ma anche rigeneratrice – che nel film passa per la giovanissima protagonista. Ma il tema è più narrato che rappresentato, affidato al percorso di scoperta dell’identità dell’adolescente speciale, da un lato, e al libro-profezia della maestra Diana. Anche questo lascia solo intuire la dimensione antropologica propria delle culture alpine che inglobano al proprio interno più sedimenti culturali e religiosi stratificati, vero retaggio del territorio e della popolazione che vi risiede. Ma la rappresentazione resta lontana dalla dimensione mitica, che richiede padronanza dell’elemento simbolico-spirituale e scavo psicologico.

Non basta sapere che va recuperata un’anima ancestrale, naturale e comunitaria insieme, bisogna riuscire a mostrarla o, almeno a farla respirare attraverso l’atmosfera e i personaggi. E questo purtroppo non accade. Si esce tuttavia dalla sala con il desiderio di andare a leggere il libro, per vedere se lì, tra le pagine, tutto ciò che si è appena intuito sullo schermo, trovi sviluppo, radici e respiro più profondi.

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