Non presuntuosi o fanatici, ma audacemente convinti

I lettura: Amos 7,12-15;

II lettura: Efesini 1,3-14;

Vangelo: Marco 6,7-13

Chi mai nell’intraprende un viaggio (per lavoro, o per ferie), non si porta appresso un bagaglio con qualche capo d’abbigliamento, magari anche qualcosa da mangiare se si prevede di sostare lungo la strada, e soprattutto una somma di denaro (o una carta di credito) per far fronte alle spese? Chi è così sprovveduto o inesperto da non pensarci? Eppure – stando al vangelo di questa Domenica – “Gesù ordinò ai Dodici che non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bagaglio, né denaro, né vesti di ricambio, ma solo i sandali e un bastone”.

Perché il Maestro esorta a comportarsi in tal modo? Chi viaggia così, o è uno sprovveduto, oppure è motivato da un’urgenza così pressante che non gli permette di pensare a nient’altro. Come uno che scappa, ad esempio. Vediamo di capire.

Penso che noi cristiani, quando dimentichiamo che siamo discepoli di Cristo, oscilliamo tra due estremi: l’estremo della presunzione, per cui ci diamo delle arie e, pur nel nostro piccolo, ci illudiamo di essere chissà chi, e l’estremo dell’abbattimento, che ci porta a una totale sfiducia in noi stessi.

Penso che molti nostri peccati li commettiamo barcamenandoci tra l’uno e l’altro di questi estremi. Per cui se io, in questa Domenica (come penso faranno altri preti che predicano questo vangelo), dirò: “… in quei Dodici ci siamo tutti, siamo noi ora coloro che il Signore manda ad annunciare, in un modo o nell’altro, il suo vangelo”, ebbene: sia io che tutti i preti che parlano così rischiamo di essere guardati con una certa commiserazione. E chi ci ascolta rischia a sua volta di pensare: “Ma figurati se Gesù Cristo deve mandare proprio me… Chi sono io perché mi debba prendere in considerazione? E poi… io ho ben altro da fare nella mia vita, altro cui pensare ogni giorno…”. Reazione, questa, che ancora una volta dimostra che è tutta una questione di identità: di coscienza della nostra identità. Ma lo sappiamo davvero chi siamo? Sarà pure un po’ lunga la seconda lettura di questa Domenica (Paolo agli Efesini), ma è proprio su questa nostra identità che intende rinfrescarci la memoria. Chi siamo pertanto?

Coloro che “Dio, il Padre, ha benedetto con ogni benedizione”. Ciò significa che ci ha pensati, “scelti”, dice l’apostolo, prima della creazione del mondo: altro che frutto del caso! È dall’eternità che Dio, nostro Padre, ci ha pensati, amati, e scelti. Per quale ragione? Per fare di ognuno di noi un suo figlio, unico e irripetibile com’è ogni figlio; perché potessimo vivere nella sua familiarità, santi e immacolati nell’amore. E se per caso – dato che ci ha creati liberi – decidiamo di mandare in frantumi questo stupendo progetto, lui ha messo in preventivo anche questa eventualità: nel suo Figlio Gesù ci ha donato la redenzione, la remissione dei peccati. Con Dio, nulla e nessuno è mai perduto per sempre. Non solo: in Gesù ci ha fatto comprendere il progetto che Egli ha su tutto questo mondo, sull’intera umanità: sì, c’è caos, c’è disordine nel mondo, ma sarà tutto ricapitolato in Cristo. E Cristo non è disordine o rovina. È salvezza, è vita. Ecco il traguardo.

Ci ha fatto anche eredi: della sua dignità, della sua vita senza limiti né ombre; eredi di una vita nella gioia, che non avrà mai fine. E a conferma di tutto questo – come un sigillo – ci ha dato il suo Spirito Santo: caparra e garanzia, in attesa che tutto quel progetto si compia e si realizzi in pienezza.

Ecco chi siamo noi cristiani. Ecco perché non c’è né titolo né compenso a questo mondo che si possa paragonare a una tale dignità: sta qui la nostra vera ricchezza.

A differenza di quei cristiani ai quali Paolo si rivolgeva, forse noi ci pensiamo poco, non la sappiamo valutare nella sua eccezionale preziosità. I cristiani di Efeso, ai quali l’apostolo scriveva, erano… quattro gatti, dispersi in un mare di paganesimo nel quale si sarebbe detto che contavano poco o niente. Eppure, pochi o tanti che fossero, erano a tal punto consapevoli della loro dignità da lasciarla trasparire spontaneamente nelle loro parole, nelle relazioni, negli atteggiamenti, nelle loro scelte di vita. Tant’è vero che il Cristianesimo… per opera di quattro gatti, poco per volta si diffuse dappertutto: nelle culture, nelle razze, nelle classi sociali.

Oggi il cammino della storia ci obbliga a fare i conti con un nuovo paganesimo. E d’altronde il vangelo non si smentisce: oggi il Signore manda noi, tocca a noi portare la bella notizia di Dio, della sua presenza amica e operosa nel mondo dei nostri giorni. Come comportarci? Come potremo svolgere questo compito, questa missione? Con strategie, mezzi, qualità o competenze che magari non abbiamo? Affatto. “Non prendete nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa…”. Portate solo voi stessi, ma voi stessi con una coscienza viva della vostra identità. Non da presuntuosi o fanatici, ma audacemente convinti, questo sì. E la testimonianza verrà da sé: il Signore non resterà deluso per avervi inviato ad annunciare la bella notizia del suo vangelo.

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