Occhi ucraini. Spalancati sull’abisso

Un grande cinema sulla grande follia della guerra. E dei suoi effetti collaterali. Ma anche dell’umanità che, incredibile, resiste

Sangue umano su tela bianca. La prima scena già ci avverte che in ‘Reflection’ (Vidblysk: riflesso), film di riflessi e riflessioni, Valentyn Vasjanovyc, regista ucraino di 51 anni, non ci farà sconti. La camera è fissa, frontale, sulla scena al di là del vetro. C’è un uomo sul tavolo operatorio, in arresto cardiaco. Il fegato spappolato – ci spiegherà il chirurgo protagonista – e tre litri di sangue nello stomaco. Il sangue inzuppa i camici bianchi che provano la rianimazione. Adrenalina. Massaggio cardiaco. Defibrillatore. Invano. Effetti della guerra. Donetsk 2014. Il prologo feroce della feroce aggressione all’Ucraina 2022.

La scena successiva: altri camici bianchi. Stavolta sono i bambini che giocano a paintball: osservati dai genitori, anche qui al di qua del vetro. Armi giocattolo sparano macchie di colore: verdi, blu, gialle, rosse. Rosso sangue. Polina, la figlia del chirurgo Serhij, colpita al ventre, è brava a simulare l’agonia. I genitori (la mamma è lì con il nuovo compagno, un militare, Andrij) la osservano turbati. Gli inservienti ripuliscono la vetrata. Anche il sangue finto deve sparire. Al fronte, Serhij prigioniero incontrerà l’amico, mentre i russi torturano Andrij per strappargli una confessione e  irridono il suo testardo, silente eroismo. Scambiato con altri prigionieri, il medico torna in Ucraina e non può raccontare l’agonia dell’amico. Senza rivelare troppi dettagli, diciamo che Serhij riscopre la dimensione dell’essere padre e con la figlia riflette sui riflessi della guerra: basta un uccello che si schianta sul vetro del suo grattacielo, ingannato da un riflesso del cielo, per domandarsi se c’è una vita, dopo. Se c’è un’anima. Se c’è un futuro, oltre la decomposizione organica del nostro essere animale presunto sapiens. Polina, dopo una confessione di scetticismo, annuncia al papà che si farà battezzare. Non si sa mai, che l’anima esista.

La macchina da presa di Vasjanovyc, a parte due scene da dentro un blindato e un autobus e altre due in movimento su Serhij che corre, resta ferma a guardare: e così lo spettatore (eravamo in sette, lunedì sera al Nuovo Astra, surreale contrappunto alla guerra che ci invade le tv di casa) può analizzare ogni singolo dettaglio e i movimenti (lenti) dei personaggi dentro la cornice. Nessun primo piano e contropiano, nessun artificio di montaggio: inchiodati lì, a riflettere sui riflessi. La bella faccia “vera” di Roman Luc’kyj ci immedesima in una parabola esistenziale dura con un inatteso e poetico quasi-lieto fine.

Film sostenuto con fondi governativi ucraini, ‘Reflection’ scansa la retorica antirussa dell’eroe combattente e ci consegna – disperata speranza – la scena dei bambini che slittano sullo sfondo di palazzi altissimi e bianchi. Quei palazzi oggi sventrati e anneriti dai missili del tiranno di Mosca. Riflesso straniante, di un grande cinema sulla grande follia della guerra. E dei suoi effetti collaterali. Ma anche dell’umanità che, incredibile, resiste.

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