“Pochi ma buoni”? Sì, se lo vogliamo.

Ezechiele 34,11-16;

Efesini 2,11-22;

Giovanni 10,11-16

Le feste patronali stanno riscuotendo parecchio interesse in questi ultimi anni; la coreografia che le caratterizza eccelle per creatività e partecipazione. Non solo nei paesi ma anche in città è così: mai le “feste vigiliane” hanno avuto a Trento un programma di iniziative così variegato e intenso. Poi sarà anche vero quello che mi faceva notare un amico (mentre passavamo per città e guardavamo gli stands dove si mangia e si beve, e le strutture allestite per i concerti): “Cosa vuoi che interessi alla gente san Vigilio? Alla gente interessa mangiare, bere e divertirsi… San Vigilio non sa nemmeno chi sia!”. Penso che il ragionamento sia un po’ affrettato e pessimista, ma non del tutto sbagliato, anzi. Non è tanto grave il fatto che molta gente non conosca san Vigilio, o non sappia che è il Patrono della Città e della Diocesi di Trento, ma che non conosca o abbia dimenticato quel vangelo che Vigilio aveva portato in questa nostra terra: questo è ben più grave se si pensa che quel vangelo potrebbe dare sapore alla vita (senza bisogno di cercare le evasioni più strampalate), potrebbe educarci a una convivenza più fraterna e meno litigiosa, oltre che risvegliare in ogni persona la coscienza viva della sua dignità. È un dato di fatto, comunque: la partecipazione a certi appuntamenti delle feste patronali (o sagre) è molto più numerosa che non alla Messa del Patrono. Il che potrebbe suonare come una lamentela disfattista (quante non ne facciamo noi cristiani, sia laici che preti!), e invece no, è un sintomo anche questo da interpretare con realismo e saggezza di Fede. Anziché cedere a sterili giudizi su coloro che delle Feste cristiane colgono unicamente la coreografia, occorre prendere atto ancora una volta che il cristianesimo sta tornando a essere una realtà di “minoranza”, sia a Trento, sia nelle valli (ma si potrebbe aggiungere: in tutti i Paesi d’Europa). Il cristianesimo vivo intendo, quello di chi crede veramente in Gesù Cristo e si sforza di vivere secondo il suo vangelo; non il cristianesimo come religione civile, o il cristianesimo “fai da te”, che del Vangelo prende ciò che vuole e quando vuole: questo riscuote ancora un certo interesse, ma alla prova dei fatti (quali ad esempio l’accoglienza o il rifiuto di profughi e rifugiati) lascia alquanto a desiderare.

Minoranza, quindi, sono i cristiani che – pur con tanti limiti e difetti – cercano in cuor loro di vivere con coerenza la fede che professano. Qualcuno, specie tra gli anziani, potrebbe restare amareggiato di fronte a queste constatazioni, soprattutto se confronta la situazione di oggi con quella del passato. Ed è comprensibile. Ma potrebbe essere anche un sintomo di poca fede il vivere da cristiani amareggiati e lamentosi: perché mai? Equivarrebbe a dimenticare che è Dio il protagonista che guida la storia (fatta di alti e bassi), e se Dio oggi ritiene opportuno lasciarci diventare minoranza, probabilmente ha i suoi buoni motivi. Io non sono addentro nei suoi segreti, ma penso (guardando alle origini del cristianesimo) che la Provvidenza permetta tutto questo per darci un’opportunità: quella di ridiventare veri, autentici. Oh, intendiamoci: evitiamo di consolarci col solito “pochi ma buoni”: i pochi non sono buoni per natura, lo sono se lo diventano. Ciò significa che il sale che siamo (“Voi siete il sale della terra” ci ricorda il vangelo) deve ritrovare il suo sapore, proprio in questa società, in questo mondo d’oggi. Il modo per ritrovare sapore, per ridiventare autentici, ce lo indicano anche le letture di questa festa di san Vigilio: “Ricordatevi che un tempo eravate senza Dio, senza Cristo, e senza speranza” ci ricorda san Paolo. Per imparare ad apprezzare quant’è preziosa la fede, dovremmo chiedercelo spesso: “Come sarebbe la mia vita senza fede, senza Cristo?”. E se per caso dovessimo rispondere che sarebbe la stessa, senza alcuna differenza, vorrebbe dire che siamo cristiani nella scorza, ma non nell’intimo: allora sì che dovremmo darci una mossa.

“Io sono il buon pastore – ci dice Gesù – io conosco le mie pecore ed esse conoscono me. E do la mia vita per le mie pecore!”. Gregge, pecore…forse l’immagine è più esotica che attuale al giorno d’oggi. Ma è comunque meglio essere pecore di Cristo piuttosto che lupi o robot telecomandati da chissà chi! C’è un tocco di comprensione, direi quasi di umanità in quella relazione tra il pastore e le sue pecore. Sì, perché l’essere cristiani autentici significa essere “umani” alla fin fine, capaci di delicatezza, tenerezza e sensibilità verso tutti. È questo l’essere sale di cui parla il Signore ( e di sale, come ben si sa, ne basta poco nei cibi). Nessuna paura, quindi, nessuna amarezza nel sentirsi “minoranza”. Basta che questa minoranza diventi credibile, significativa, senza per questo montarsi la testa o atteggiarsi a sputasentenze. Molti sono i missionari partiti dalle nostre Comunità per evangelizzare i Paesi del terzo mondo. Certo, forse è più facile annunciare il vangelo a coloro che lo ignorano, che non annunciarlo a chi lo conosceva ma l’ha dimenticato: la nuova evangelizzazione dell’Europa (Trentino compreso) probabilmente avrà il suo prezzo, analogamente alla prima, che ebbe protagonista san Vigilio. Ma è il Signore che guida la storia, non noi. E se a noi sta davvero a cuore ridiventare cristiani autentici, allora la nuova evangelizzazione è già cominciata.

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