Risorto? Solo chi ama lo può credere

I lettura: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43;

II lettura: Colossesi 3,1-4;

Vangelo: Giovanni 20,1-9

Nel film su Gesù Cristo realizzato dal regista Mel Gibson, “La Passione” (The Passion), la parte di Barabba è stata affidata a un attore che poi ha riferito la sua esperienza in un libro: «Da Barabba a Gesù, convertito da uno sguardo» è il titolo. Eccone qualche stralcio.

«Il copione prevedeva per Barabba una breve apparizione e neppure una parola. Ma come, tutto qui? Certo, il personaggio era affascinante, ma per me contava quanto occupava la scena: più è lungo l'impegno, più si lavora e si guadagna. E più sei pagato, più sei bravo. Non condividevo queste regole, ma mi adeguavo all'andazzo, e quindi ero rimasto deluso».

Con questa carica di insoddisfazione, l’attore protesta col regista: «Perché Barabba non ha neppure una battuta? Non potrebbe dire qualcosa, magari a Pilato o a Caifa?». La risposta del regista va dritta al fondo della questione: «Barabba non parla perché non ha più parole, ha urlato tutto il suo fiato per l'ingiustizia subita. Questo film deve passare tutto dai vostri occhi e soprattutto dagli occhi di Gesù, come tutto il Vangelo passa attraverso gli occhi di Gesù».

Quando arriva il giorno della "sua" scena, l’attore si affida alla sua professionalità di artista che ha girato decine di film, ma la professionalità non basta. Quando si trova davanti allo sguardo magnetico e intenso di Gesù, interpretato dall'attore Jim Caviezel, nel suo cuore si scatena una tempesta. Scrive: «Ho giocato con i sentimenti per anni sul palcoscenico dello spettacolo e su quello della vita. Ma allorché mi sono perso in quello sguardo intenso e soave, ho intravisto una forza e un'intensità che un uomo non sa darsi da solo. Non sono un visionario, è proprio come se mi avesse guardato Dio. E da quel giorno non sono più lo stesso».

Una testimonianza, solo una testimonianza. Perché Pasqua è di per sé un’occasione di testimonianze, cioè di persone che affermano con molta decisione: È risorto Gesù. È vivo il Signore. Noi l’abbiamo incontrato. Hanno cominciato quelle donne che andavano al sepolcro per ungere con aromi il suo corpo morto (è il vangelo della Veglia Pasquale): han trovato il sepolcro vuoto e mentre se ne tornavano via di corsa, ecco venire loro incontro Gesù, il Risorto.

Il Vangelo di Giovanni, che si proclama alla Messa di Pasqua, invece è molto più sobrio nelle sue affermazioni. Parla di Maria Maddalena che pure va al sepolcro e lo trova vuoto, ma Gesù non l’ha ancora visto; più tardi lo incontrerà, ma intanto – tutta sconvolta – corre da Pietro e dall’altro discepolo, “quello che Gesù amava”, a gridare loro la sua amara scoperta: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”. Allora Pietro e quel discepolo che Gesù amava (si noti questa figura anonima e misteriosa!) vanno pure loro al sepolcro, e di corsa, ma il discepolo che Gesù amava corre più veloce e arriva prima. Quando entra nel sepolcro e vede il sudario e le bende ben piegati in un angolo, allora comprende. E crede. Crede che Gesù non l’hanno affatto portato via, ma è risorto. È vivo. Eppure non l’ha affatto visto di persona. Non l’ha ancora incontrato: come può essere così sicuro?

La risposta probabilmente sta in quella definizione un po’ enigmatica che egli dà di se stesso: “il discepolo che Gesù amava”. Si parla di amore. Non è da pensare che Gesù amasse solo quel discepolo e gli altri no: con queste parole l’evangelista vuole insinuare in modo molto sobrio e discreto che, tra quei 12, uno amava Gesù con più intensità di tutti gli altri. È quell’amore che gli ha fatto comprendere e credere che Gesù era davvero risorto, anche se non l’aveva ancora visto di persona. Forse è Giovanni quel discepolo. Ma perché non ha messo il suo nome? Perché ha scelto di restare anonimo dietro quelle parole “il discepolo che Gesù amava”?

Perché ogni cristiano deve sapere che senza un forte legame d’amore con Gesù non è possibile credere che lui è risorto, vivo, che è con noi nella vita. È necessario accorgersi di quanto ci ha amato e ci ama, occorre sentire su di noi “il suo sguardo intenso e soave – come scrive quell’attore di cui sopra – carico di una forza e di un’intensità che un uomo non sa darsi da solo”. Allora si sente l’esigenza di rispondere a quell’amore, e si diventa amanti di Dio, prima ancora che credenti. È allora che l’esperienza della fede prende il ritmo di una corsa; infatti è l’amore che fa correre, solo l’amore.

«È paradossale (afferma ancora l’autore di quel libro): attraverso telefonini, telecamere, internet, al giorno d’oggi la gente si parla e si vede con sempre maggiore facilità, eppure è sempre più difficile entrare in comunicazione vera. Perché mai? Perché è solo un Amore più grande che può dare significato al nostro sguardo umano. Come è inaspettatamente capitato a me». Auguriamocelo anche noi, reciprocamente: che questo Amore più grande dia significato anche al nostro sguardo e nuovo vigore alla nostra fede.

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