“Secondo me” o secondo Dio?

2 Maccabei 7,1-2.9-14;

2 Tessalonicesi 2,16-3,5;

Luca 20,27-38

Poter ragionare ciascuno con la propria testa è una gran bella cosa; ci sono epoche nella storia del mondo, nelle quali è pericoloso farlo: allora è uno solo a ragionare, o pochi, e tutti gli altri devono adeguarsi all’idea di quel tale o di quei pochi. Il passato ha conosciuto situazioni di questo genere a tutte le altitudini del mondo. Oggi si è passati a una situazione diversa, quasi totalmente opposta: la gente riscopre il gusto di ragionare con la propria testa (si illude quantomeno di farlo, poi resta da vedere quanto sia vero in realtà). In ogni modo, tanta è l'ebbrezza nel poterlo fare e l’assoluta pretesa di essere nel giusto, che a volte si prendono delle madornali cantonate: succede, per esempio, in tutte quelle situazioni nelle quali la testa da sola non basta per ragionare, per misurare, per comprendere, perché sarebbe come pretendere di far entrare l'acqua del mare in un bicchiere. Il “secondo me” o l’ "io la penso così" può andar bene per tante cose di questo mondo, ma per quelle che oltrepassano le dimensioni di questo mondo no, non va più bene. I Sadducei, che entrano in scena nel brano evangelico della prossima Domenica, erano persone così: gente che anche nelle cose che oltrepassano questo mondo ragionava con il metro del "secondo me"…"io la penso così", o “noi” se si preferisce (infatti ci sono anche individualismi collettivi, oltre quelli strettamente personali). I Sadducei erano dell'idea che la morte è la fine di tutto; quando uno muore, finisce totalmente; inutile illudersi che non sia così. Come pensare che nell'aldilà tutti tornino a vivere? e dove si metteranno? come faranno a starci? e come la mettiamo con chi nella vita era rimasto vedovo e poi si era risposato? a quale consorte apparterrà? Inventano infatti la storiella della donna che aveva avuto 7 mariti, proprio per mettere in ridicolo ogni pretesa di vita oltre la morte: visto che 7 mariti contemporaneamente non si possono avere, di conseguenza non c'è aldilà; tutto avviene e si conclude qui. “Secondo noi è così” affermavano i Sadducei. Io penso che qualsiasi sondaggio ai nostri giorni rivelerebbe che sono tanti a pensarla come loro: "secondo me" – "io la penso così". Ma allora che senso ha credere in Dio? I Sadducei infatti mica erano atei o pagani: erano credenti! Ma che senso ha che tu sia credente, se poi nelle cose che oltrepassano gli orizzonti di questo mondo e sconfinano in Dio, la pensi come vuoi tuoi? Non ti prende il dubbio di aver ridotto Dio entro le strettoie del tuo “secondo me”? Gesù denuncia esattamente l'assurdità di questa pretesa: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito…", ma chi vi autorizza a misurare l'aldilà con i criteri dell'aldiqua? "...quelli che risorgeranno saranno come gli angeli": il mondo di Dio è talmente più perfetto del nostro da non aver bisogno dei suoi codici, delle sue leggi, delle sue abitudini. Negare che sia possibile vivere oltre la morte solo perché non riusciamo ad immaginarci in che modo è possibile, è come negare che esista il mare, per il fatto che non lo si è mai visto o perché non ci sta in un bicchiere. Dio è il Dio dei vivi, perché tutti vivono e ri-vivono per lui. Le credenziali con le quali era solito presentarsi erano queste: "Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe…". Ma questi signori son morti da millenni: se fossero scomparsi, finiti, solo perché morti, che senso ha che Dio si presenti come il loro Dio? Non può essere, l’alleato, l’amico, il protettore di gente scomparsa nel nulla. No, non sono affatto scomparsi: risorgeranno. Così la pensa Gesù, Figlio di Dio. E nelle cose di Dio è preferibile affidarsi al suo pensiero, invece che alla logica ristretta del "secondo me". Anche perché questo Dio in cui crediamo ama legarsi alle persone concrete che gli danno fiducia e accettano di camminare con lui. Abramo, Isacco e Giacobbe, per noi possono essere degli illustri sconosciuti, ma per lui no. Esattamente come il sottoscritto: tranne che per alcuni miei contemporanei che mi conoscono, io sono uno sconosciuto in questo mondo (e nemmeno illustre!): ma per Dio no, Lui è il mio Dio, e gli fa piacere di esserlo nonostante i miei limiti. Insomma, il Dio in cui crediamo, è il Dio delle nostre persone uniche e irripetibili, delle nostre vicende personali, e lo sarà sempre, anche oltre la barriera della morte: sarà proprio quest’appartenenza che ci farà rivivere, oltre quella barriera. Certo, una tale convinzione noi la dobbiamo irrobustire, e molto, perché il mondo dei nostri giorni ne ha esasperato bisogno. Il disprezzo per la vita delle persone ha finito con l'avvelenare perfino l'aria che respiriamo. Che spaventoso calo di prezzo ha subito la vita, sia quella dei fanatici estremisti che sacrificano la loro e quella di molti altri, sia quella di chi, con la scusa di combatterli, mette a repentaglio la propria e quella di tanti innocenti! Perché vale così poco la vita, la persona? Se essa è solo un fenomeno biologico che si esaurisce con la morte, allora sì, vale poco. Ma quel Dio nel quale crediamo ci fa alzare lo sguardo e guardare oltre: si presenta a noi quale Dio dei vivi, di persone concrete che l'hanno preso sul serio già nell'aldiqua. Perciò, anche aldilà di quella barriera lui è il loro Dio ed essi – i nostri morti – vivono in lui. E' questo che fa grande la persona, che impreziosisce ogni donna e ogni uomo. È questa grandezza, questo valore non inflazionabile, che è urgente testimoniare, pubblicizzare, ma soprattutto proteggere e difendere.

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