Solitudine radicale

“Viviamo un tempo di solitudine radicale” ha detto domenica a Filadelfia Papa Francesco. Una persona cara me lo conferma a suo modo e tento di starle accanto così: cara Anna, mi parli di una solitudine tua “terribile e acutissima. Antica, fin da bambina”. Una mancanza a cui non sai dare un nome, le dico, un guardare il mondo come se non ti appartenesse. Eppure osservi che non c’è niente di particolare nella tua vita che non vada. Anzi ti trovi “in un momento insospettabile di pienezza professionale, affettiva e di normalità” nelle relazioni con persone, cose e avvenimenti.

E questa coabitazione di Solitudine e positiva Pienezza ti sorprende. (I profughi nel loro disperato lasciare la patria e puntare a Nord hanno una giustificazione ma tu?)E ti domandi "che faccio di questa solitudine? Come faccio a liberarmi, a cancellarla, rompere il suo accerchiamento?"Temi che ti renda la vita invivibile, che ti morda il calcagno e ti tolga motivi, voglia e forza di continuare il cammino.Intanto però puoi accorgerti che hai già fatto un passo avanti. L'hai scoperta. Non è più sotterranea, come una scontentezza generica, senza volto. Le hai dato un nome: sai che si chiama Solitudine. L'hai portata alla luce, l'hai posta di fronte a te. Ti accorgi che hai la possibilità di dialogare con lei o di combatterla quasi alla pari. Ed un secondo tuo passo si fa notare. Questa sensazione di solitudine è si dolorosa per te ma anche ti incuriosisce.

Nel tuo descriverla non esprimi odio o terrore verso di lei ma quasi le dai un diritto di esserci ed in certo modo ti domandi se viene a portarti un dono nuovo e meraviglioso.Forse la senti come una voce dentro di te. Una voce che non ti è nemica ma parla da te, per te. Ti sta ricordando qualcosa che hai perduto o forse non hai mai avuto. La voce, un pianto, un rimpianto della bambina che è dentro di te, di Anna bambina rimasta sola, senza esperienza di tenerezza. Così la voglia di liberarti annientandola, o di maledirla o di fuggire o farla fuggire lontano cede il passo al desiderio di incontro, di far pace, di chiederle un’indicazione stradale, un’alleanza. Quasi di acquistare, verso di lei, un debito di riconoscenza. Perché questa voce di solitudine la senti vera, sincera senza doppiezze o menzogne. Ma come fare a capire il suo linguaggio? Una risposta te la stai già dando quando esclami: “Questa solitudine infinita, questa incomunicabilità esistenziale mi parla di una comunione che non è qui!” Probabilmente è molto vero : non è qui alla superficie di me, nel mio piccolo accanirmi,nel moltiplicare riempitivi, alibi, distrazioni, nel gonfiare o svalutare me stessa. Forse ti stai dicendo che questa solitudine sofferta è una amica che ti porta per prima cosa più profondamente dentro di te, a rientrare in te, a riunificarti con te stessa, con il tuo passato con le tue contraddizioni. Diventare la tua migliore amica , darti un abbraccio di benvenuto al mondo che forse non ti eri mai dato.. Ogni Comunione “più in là” chiede prima ” l’unione di te”. E ogni solitudine opera per far scomparire se stessa.Per una Comunione che non è solo qui entro i miei confini ma oltre. Il tuo senso di solitudine è come una panchina scomoda che ti induce ad alzarti e proseguire più avanti verso una indefinibile comunione che non è qui. Ma dove? Con chi? E questa tua domanda incomincia a tenerti compagnia!

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